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Nicola White – Reconstructing Italian Fashion. America and the Development of the Italian Fashion Industry – 2000

Nicola White
Berg, Oxford

Anno di pubblicazione: 2000

Esamina il ruolo svolto dagli Stati Uniti nello sviluppo della moda italiana. Rimasta quasi intatta dopo la guerra, l’industria tessile italiana fu un oggetto privilegiato per gli investimenti del piano Marshall (nella previsione sia di un nuovo mercato per il cotone americano, sia di una futura domanda americana di tessuti). Il parco macchine fu così modernizzato e nacque un’industria italiana di macchine tessili.
Il contributo più importante degli Usa è comunque stato il loro ruolo di mercato di consumo. Dopo essere stata “scoperta” durante la guerra, l’Italia divenne mèta per un turismo d’élite attratto dall’offerta di lusso e di eleganza a basso prezzo (“In the fancy restaurants of Rome and Milan anyone with 1.500 lire can make a gourmet’s selection form tables swamped with delicacies. To an American the price is only 2.50 dollars”, p. 132). Riviste di moda americane come “Vogue” cominciavano a scoprire l’eleganza dello “stile di vita italiano” (p. 80). Inoltre i successi di Ferragamo (presente a Hollywood già nel 1914) e la collaborazione delle sorelle Fontana con una serie di dive del cinema lanciarono l’immagine dell’Italia come un paese di eleganza e di ottimo design.
A partire dal 1952, l’industria tessile e gli stilisti italiani cominciarono a capitalizzare su questa fama con le mostre di moda a Palazzo Pitti a Firenze. Si aprì un mercato americano per la moda italiana di fascia medio-alta, soprattutto tramite il successo dei vestiti sportivi di Emilio Pucci. La vera espansione della moda italiana derivava comunque dal mercato più diffuso del prèt-à-porter. Nel dopoguerra i grandi magazini americani di fascia medio-alta trovarono nella moda italiana una fonte di vestiti confezionati eleganti ed a prezzo relativamente contenuto. Ciò creo uno sbocco per produttori come Max Mara che, con l’aiuto di tecnologie e sistemi produttivi americani si misero in grado di produrre dei capi elaborati in serie.
Secondo l’autrice lo stile italiano si è consolidato andando incontro alla domanda “middle class” americana. Nata durante gli anni dell’autarchia e della guerra con lo sviluppo di un mercato di alta moda, dove i nuovi stilisti semplificavano i modelli francesi per andare incontro ad un gusto ritenuto “più povero” (p. 75), la moda italiana era dal principio caratterizzato dalla sua semplicità di linea. Durante gli anni ’50 e ’60 era proprio questa eleganza semplice ad essere richiesta da un pubblico americano che viveva dei profondi cambiamenti di costume. Nei primi anni ’60, conclude la White, le donne americane richiedevano proprio vestiti meno formali, più confortevoli e più leisure oriented, ma sempre eleganti, e la moda italiana vi si adattò con facilità.
Offrendo un resoconto del processo transnazionale dietro allo sviluppo della moda italiana il libro presenta del materiale storico nuovo, anche se ignora quasi completamente la letteratura secondaria in italiano e dunque può non soddisfare del tutto il lettore italiano.

Adam Arvidsson