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Paul Gilroy – Dopo l’impero – 2006

Paul Gilroy
Roma, Meltemi, 236 pp., euro 19,50 (ed. or. London, 2004)

Anno di pubblicazione: 2006

Paul Gilroy, sociologo e studioso afro-britannico è una figura di primo piano dei Black British Cultural Studies. In questo lavoro del 2004 prosegue l’analisi inaugurata con There ain’t no Black in the Union Jack (1987) dell’intreccio tra discorso della razza e cultura nazionale inglese allargandola a nuovi campi. Uno tra gli aspetti più interessante del volume è costituito infatti dalla tematizzazione del rapporto tra dimensione globale e dimensione nazionale dei processi che riguardano per un verso l’emergere di forme di attivismo transnazionale e di pratiche di «convivialità transculturale», e per un altro l’affermarsi di nuove forme di assolutismo etnico e nazionalista nel post 11 settembre. Una delle tesi principali del libro, articolata nella prima parte, è che l’interpretazione dell’eredità del colonialismo costituisca oggi uno dei principali terreni di scontro politico come mostra il consenso sul fallimento del multiculturalismo ridotto ad uno degli aspetti dello scontro di civiltà, in cui il vocabolario del razzismo coloniale ricompare nella versione culturalista. Gilroy interpreta i tentativi politici di costruire un nuovo ordine imperiale, tanto a livello globale quanto dentro i confini dell’Occidente, come espressioni di una «melanconia postcoloniale» che si alimenta di fantasie nostalgiche. Una tesi che nella seconda parte del volume si misura con le specificità del discorso pubblico inglese attingendo sia ai dibattiti culturali e politici sia alle rappresentazioni disseminate nella cultura di massa. Particolarmente convincente è l’analisi della funzione svolta nell’autorappresentazione nazionale della memoria della vittoria antinazista come antidoto all’elaborazione del lutto per la perdita di un’identità culturale fondata sulla missione imperiale della Gran Bretagna, a cui viene ricondotta la rappresentazione dei migranti come figure destoricizzate, responsabili principali del disorientamento culturale e della perdita dell’egemonia politica ed economica della nazione. Gilroy collega «il complesso culturale della melanconia postcoloniale» con lo sviluppo del «fondamentalismo diasporico», in cui le ferite provocate dalla gerarchia razziale nei giovani «neri europei» e trasformate nell’impegno a favore della rivoluzione islamica portano in primo piano i legami tra la guerra al terrorismo e la storia dell’immigrazione e delle politiche razziali. In questo scenario la sfida per il pensiero critico diventa quella di inventare un nuovo cosmopolitismo di cui viene tracciata una possibile genealogia che fa dialogare i riferimenti della tradizione «classica» con un filone di pensiero diasporico in cui l’utopia di un nuovo universalismo planetario è stata immaginata e articolata a partire dalle esperienze di dominazione razziale e coloniale. Il volume offre indicazioni preziose per una storia del presente in cui il «discorso razziale» possa essere riconosciuto come una componente centrale dei rapporti e dei conflitti politici postcoloniali. Una sollecitazione al dibattito storiografico a riconoscere il nesso tra colonialismo e immigrazione, cioè tra storia e potere, intrappolato nella falsa dialettica tra «cultura» ed «economia politica», tra memoria reificata ed eterno presente.

Liliana Ellena