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Pietro Costa – Civitas. Storia della cittadinanza in Europa, vol. II, L’età delle rivoluzioni – 2000

Pietro Costa
Laterza, Roma-Bari

Anno di pubblicazione: 2000

Si tratta del secondo volume di un’opera in progress, che una volta completata verrà a lambire i giorni nostri. Col termine cittadinanza, Costa non intende solo le modalità di ascrizione di un soggetto ad un ordinamento giuridico dato, le condizioni con cui un individuo acquista, possiede e perde la qualifica di cittadino. Prendendo spunto dalla sociologia anglosassone, ma affinandone ulteriormente le categorie interpretative, l’autore intende invece le modalità con cui la coscienza europea è riuscita a comporre le ragioni dell’ordine e le ragioni del soggetto, i diritti e l’appartenenza. Quest’imponente circumnavigazione intorno ad un concetto così importante ha così preso forma in una rivisitazione puntuale e analitica di tutti, o quasi, i protagonisti del pensiero politico e giuridico europeo, chiamati a dar conto della loro specifica idea di “cittadinanza”. Ne è risultata una straordinaria galleria di ritratti, in cui l’unità culturale europea si materializza attraverso una serrata interazione dialogica tra i suoi maggiori esponenti.
Le scansioni temporali che ritmano l’intera opera meriterebbero una lunga discussione. Qui preme almeno sottolineare come il termine a quo prescelto da Costa nel volume precedente, apparso nel 1999 (Dalla civiltà comunale al Settecento), sia del tutto coeso alla nozione di cittadinanza accolta nella narrazione: solo con la città medievale, come insegnava già Weber, viene meno la compenetrazione tra l’ordine e la comunità, che l’età medievale aveva pensato come due facce complementari di un tutto strutturato sulla dimensione verticale. La nozione di cittadinanza si riferisce a civitas, dunque, perché solo allora prende corpo la tensione tra il potere e la legittimità, su cui da allora in poi continuerà ad interrogarsi il pensiero occidentale. Ma non si può neppure passare sotto silenzio l’attenzione partecipe che Costa riserva alle molte famiglie concettuali ascrivibili tra Sei e Settecento alla scuola del diritto naturale, la cui rilevanza è giustificata per il fatto di porre per la prima volta i soggetti al centro dei dispositivi dell’appartenenza, senza ulteriori mediazioni: rivisitando in chiave polemica il pregiudizio post-rivoluzionario dell’individualismo anarchico, Costa riesce così a restituirci nella sua compostezza il progetto illuminista. Collocato in questo complesso percorso, il secondo volume è dedicato integralmente alla prima metà dell’Ottocento. L’importanza dell’”età delle rivoluzioni” nella storia del concetto di cittadinanza si giustifica con il fatto che in quei cinquant’anni prendono forma i parametri per noi ancora usuali: lo Stato, la nazione, la libertà, l’uguaglianza, i diritti; ma nel contempo questa periodizzazione serve anche a ricordarci la fortissima tensione progettuale che ha accompagnato l’enunciazione di nuovi diritti. Un’annotazione, quest’ultima, che sembra già aprire un’ipoteca interpretativa sulle vicende della cittadinanza nella seconda metà dell’Ottocento: non resta dunque che attendere con ansia il proseguimento di questa ricerca.

Francesca Sofia