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Stefano Mannoni – Potenza e ragione. La scienza del diritto internazionale nella crisi dell’equilibrio europeo (1870-1914) – 1999

Stefano Mannoni
Giuffrè, Milano

Anno di pubblicazione: 1999

Il secolo che si è chiuso è stato probabilmente il più carico d’orrori dell’intera storia umana. Ma esso affonda le sue radici nel romantico Ottocento, nell’idillico “mondo di ieri”: è questo che forgia le armi culturali e ideologiche che si faranno macchine d’acciaio e ordigni di fuoco nel secolo successivo. L’Ottocento ha un “cuore di tenebra” assai più profondo e forte del mito liberale del progresso e che viene in superficie negli scritti di Conrad o di Dostoevskij, di Gobineau o di Herzen. Nietzsche è ottocentesco; così pure Leopold von Ranke. Ed ottocentesca è la dottrina del diritto internazionale, su cui si sofferma con diligenza e intelligenza questo libro. Non v’è forse disciplina in cui più si manifestino “le forze sotterranee” di quel secolo. Il diritto internazionale si costituisce rinnegando le sue origini giusnaturalistiche, nel disprezzo della tradizione dello Jus gentium come parte integrante del diritto naturale, in nome di un’idea positivista di scienza avalutativa. Mannoni è il primo a dissodare questo terreno in Italia. Conduce la sua ricerca su piani distinti ma connessi in un ordito compatto che riguardano i contenuti della dottrina, i suoi sviluppi istituzionali, e la specifica normativa di diritto internazionale. Dapprima illustra la formazione e la evoluzione della disciplina, quindi analizza il diritto bellico – il cui criterio decisivo rimane l’efficienza delle operazioni – : “Maßgebend ist im Kriege nur die militärische Gewalt”, afferma un influente studioso – e la nozione di neutralità, che melanconicamente tramonta contro lo sfondo di una divisione radicale (dove tertium non datur) tra belligeranti “giusti” e “ingiusti”. Mannoni scrive bene, è bene informato, argomenta con chiarezza e mantiene un riserbo tutto da “storico”, che però rischia di nascondere la tesi del libro, quella che vanta la dignità della dottrina internazionalistica forgiata dal giuspositivista, che di contro alla fantasie giusnaturalistiche si fonda nella “logica” e nel “rigore” e nel “realismo”. Nell’enfasi di tale elogio l’a. è portato ad ironizzare sulla “impenitente pigrizia intellettuale” (p. 70) della cultura giuridica anglosassone che mantiene fino all’ultimo il contatto tra diritto internazionale e discorso normativo forte. A lui stanno a cuore innanzitutto la purezza metodologica e lo status di “scienza” della dottrina giuridica e poi l’intangibilità della sovranità del legislatore statale, anche a costo di dover assumere talvolta una terminologia di estrazione schmittiana. Gli sfugge però che così facendo fa proprio quel “cuore di tenebra” che batte nell’intimo della dottrina internazionalistica giuspositivista, e che si può compendiare nel “principio di autoconservazione” degli Stati al di sopra d’ogni norma o criterio giuridico. Principio poi tradotto nei termini di una “dottrina dell’interesse nazionale” dalla più recente disciplina delle “relazioni internazionali”, un caposcuola della quale è quell’Edward H. Carr al quale Mannoni dà l’ultima parola.

Massimo La Torre