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Valentine Lomellini – L’appuntamento mancato. La sinistra italiana e il Dissenso nei regimi comunisti (1968-1989) – 2010

Valentine Lomellini
Firenze, Le Monnier, 282 pp., € 21,40

Anno di pubblicazione: 2010

Il senso del libro, solido sul piano archivistico, si legge a p. 2: «L’analisi della strategia adottata nei confronti del Dissenso costituisce una “finestra” dalla quale osservare, da un punto di vista inedito, alcuni aspetti centrali dell’identità delle due principali componenti della sinistra italiana [e] di gettare una nuova luce sulle ragioni che resero impraticabile la creazione di una sinergia tra Pci e Psi, impedendo all’Italia di avere un’alternativa credibile». Il punto di vista non è del tutto inedito, vista l’ampia storiografia che, pur non concentrata sul Dissenso, ha già approfondito vari temi del libro. L’a. affronta la Cecoslovacchia e, pur attenta alla Polonia e ai processi in Urss, fa della Primavera di Praga, della «normalizzazione» e dell’eredità di Dub?ek il fuoco del volume. Sebbene vi siano ripetizioni e alcuni giudizi denotino una sicurezza eccessiva nel valutare eventi complessi, emerge un quadro ricco. La parabola del Pci, allineato al Pcus per fede (affievolita nel tempo) e necessità (i finanziamenti), sicuro fino al 1989 che il socialismo reale fosse riformabile da «forze reali» interne (Gorba?ëv). L’altalenante dialogo col Dissenso (giudicato dal grado di «antisovietismo» per non indebolire distensione e disarmo) riporta all’illusione eurocomunista e indica lo sforzo di Berlinguer nel cercare la terza via. Gli strappi, con riavvicinamenti ai «fratelli» accompagnati da critiche negli incontri bilaterali o sotto forma di «politica culturale», dimostrano la difficoltà di conciliare posizioni antitetiche: il sostegno all’Urss, nonostante l’ombrello della Nato e «l’esaurimento della spinta propulsiva» del ’17, e la ricerca di una strada democratica per il socialismo. L’a. affronta l’evoluzione del Psi, paladino del Dissenso per ideali (il legame tra socialismo e libertà, figlio del ’56) e strategia politica (guadagnare la leadership della sinistra e la centralità nel quadro politico). Difesa fino al ’78 l’alternativa, incompatibile con solidarietà nazionale e centrosinistra, pure per il Psi un modello che coniugasse socialismo e libertà rimase indefinito. Un partito di massa della sinistra, socialista e democratico non nel nome ma nelle politiche, che aspirasse al governo senza la Dc, mai si rivelò una prospettiva praticabile: Pci e Psi non rinunciarono alle proprie identità. Il Psi fu autonomista prima di Craxi e, dopo il ’76, non chiarì il fine della sua lotta. La socialdemocrazia non discuteva il mercato e le oscillazioni ideologiche, dopo il frontismo, mai si tradussero in una completa adesione a quel modello. Il Psi, presentandosi come partito più libertario, europeista e moderno del Pci, dopo la battaglia contro il leninismo nel nome di un vago riformismo (che generò drammatici equivoci), non raggiunse il suo obiettivo «naturale»: la trasformazione della società capitalistica, non la sua modernizzazione. Per quanto il Pci esprimesse un intento strumentale evocando la «diversità», la corruzione fu centrale e inficiò la credibilità degli appelli per la libertà e la giustizia sociale. Giunti alla fine del libro, si capisce che «l’appuntamento mancato» non poteva essere rispettato.

Andrea Ricciardi