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Storia sociale dell’oppio – 2007

Zheng Yangwen
Torino, Utet, XVIII-261 pp., Euro 22,00 (ed. or. Cambridge, 2005)

Anno di pubblicazione: 2007

Studiosa cinese originaria del Hunan, Zheng Yangwen è ricercatrice presso l’Università nazionale di Singapore. Ha pubblicato nel 2005 The Social Life of Opium in China ora tradotto per il pubblico italiano. Il volume ricostruisce le trasformazioni dell’oppio a partire dalla metà della dinastia Ming, quando da medicinale divenne afrodisiaco, attraverso tutta l’epoca Qing e il periodo repubblicano, per arrivare, con qualche rapido cenno, fino all’epoca post-maoista.Il lavoro si basa principalmente su una varietà di fonti edite non convenzionali, come i libri pornografici (Yin shu) oppure i menù per le cene e i matrimoni, e analizza volumi e periodici sia in lingue occidentali sia in lingua cinese. L’obiettivo di Zheng è quello di tracciare una storia dell’oppio non condizionata solo dalle fonti proibizioniste fornite dal governo per avvalorare la linea ufficiale di condanna. Così l’a. illustra un duplice percorso dell’oppio: da una parte la sua penetrazione all’interno di strati sociali sempre più bassi e dall’altra la sua diffusione geografica che progressivamente si estese nel paese. Dapprima riservato alla Corte imperiale e all’élite dei funzionari-letterati, il fumo d’oppio si diffuse rapidamente nel corso dell’800. Fu allora che esso divenne un problema sociale e morale, poiché i fumatori delle classi più basse lo resero visibile e disonorevole. «Ma – scrive Zheng – il male aveva bisogno di una definizione e di un colpevole. Doveva venire dal basso e da fuori, non certo dall’alto e da dentro» (p. 60). Questa divenne la linea tramandata dalle storie ufficiali.Tra i temi più interessanti che emergono nel libro vi sono il legame tra il consumo dell’oppio e la storia delle donne in Cina e gli accenni al fenomeno del yanghuo re cioè «la febbre delle merci straniere», desiderate e di moda anche se ufficialmente condannate, i cui primi consumatori rimanevano proprio i membri della Corte imperiale e i funzionari-letterati.Intellettuali cinesi di inizio ‘900, come Liang Qichao, considerarono l’oppio un ostacolo al progresso e alla modernità. Con Mao, la Cina che combatteva per liberarsi dagli imperialismi, finì per lottare anche contro l’oppio. Zheng tuttavia smentisce la presunta «innocenza» dei comunisti cinesi nei confronti dell’oppio. Negli anni ’50 esso venne comunque sradicato con successo. Solo dopo la fine dell’epoca maoista e, soprattutto negli anni ’90, i moderni derivati dell’oppio tornarono nel paese come pratica diffusa.Una storia politico-economica dell’oppio esiste da tempo: vari studi hanno insistito sulle guerre dell’oppio, sui legami con l’imperialismo occidentale e sui traffici commerciali. La novità del libro di Zheng è quindi nella scelta di un taglio esclusivamente sociale e culturale per rispondere agli interrogativi su chi fumasse oppio nella Cina moderna ma anche come, quando e perché. Va tuttavia rilevato che l’a. in più punti corre il rischio di sopravvalutare l’importanza dell’oggetto della sua ricerca nel quadro storico complessivo. Zheng attribuisce a questa merce un ruolo eccessivo sia nei rapporti tra Cina e altri paesi, giungendo per esempio a presupporre che, a livello internazionale, vi fosse un’identificazione tra oppio e nazione cinese, sia nelle scelte di politica interna.

Elisa Giunipero