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I «dimenticati». Da colonizzatori a profughi, gli italiani in Libia 1943-1974

Luigi Scoppola Iacopini
Foligno, Editoriale Umbra, 207 pp., € 12,00

Anno di pubblicazione: 2015

Grazie alla disponibilità di nuovi documenti, provenienti soprattutto dall’Archivio
storico-diplomatico del Ministero degli Affari esteri, Luigi Scoppola Iacopini rispolvera
in questo volume una pagina di storia trascurata, se proprio non rimossa, dalla memoria
collettiva nazionale. La collana I Quaderni del Museo dell’Emigrazione dell’editore umbro
si arricchisce di un contributo che, per lo stile fluido e l’argomentare piano, è raccomandabile
anche a un pubblico di non specialisti.
Una partizione cronologica scandisce i capitoli del volume. Il primo, relativo agli
anni della British Military Administration (1943-1950), descrive gli italiani di Libia come
«inscatolati», «conservati in scatola dalla data dell’occupazione, in posizione di cittadini
di un paese vinto, senza una protezione adeguata» (p. 40). La «lunga attesa», dall’indipendenza
(1951) all’accordo italo-libico del 1956, è descritta nel secondo capitolo. L’accordo
relativo al riconoscimento delle proprietà private italiane, al trattamento pensionistico dei
lavoratori italiani e al contributo economico versato alla Libia dal governo italiano segna
una battuta d’arresto nella persistente incertezza vissuta dagli italiani in Libia. Nel 1956,
come mostra il terzo capitolo, prende avvio quindi un periodo di relativa tranquillità
(1956-1969). L’ostilità tuttavia è crescente – chi recensisce avrebbe evitato il francesismo
«montante» – soprattutto nelle campagne, e le dimostrazioni di violenza del giugno 1967
contro gli ebrei riaccendono le paure della comunità italiana. Nel 1969, l’instaurazione
del regime di Gheddafi (IV capitolo) inaugura una nuova fase all’insegna dell’antimperialismo
«sprezzante e insultante» (p. 143) che culmina con i decreti di confisca dei beni e di
espulsione del luglio 1970, oggetto invece del quinto capitolo. L’ultimo capitolo esamina
infine il travagliato reinserimento in Italia dei rimpatriati che il governo – come ribadisce
l’a. nelle conclusioni – sacrificò agli interessi economici e geopolitici del paese.
Apprezzabile è la combinazione di fonti politico-diplomatiche, articoli di stampa e
carte private, da quelle di eminenti statisti – come Nenni e Fanfani – ai diari conservati
presso l’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano. Ne viene fuori un quadro
che restituisce resoconti, a tratti drammatici, del vissuto quotidiano e accurate analisi del
contesto politico.
Le fonti d’archivio e la letteratura consultate rivelano una predilezione per il punto
vista italiano. Il «controllo incrociato con le eventuali carte libiche e con quelle inglesi»
(p. 22) evocato nel testo, insieme a un apparato bibliografico di respiro internazionale,
avrebbero valorizzato ulteriormente il volume.
In definitiva, I «dimenticati» ha il merito di mostrare, grazie a un pregevole lavoro
d’archivio, il volto oscuro – «storicamente inevitabile», come scriveva un funzionario
dell’Eni (p. 110) – del processo di nation-building nel paese arabo. La Libia non rappresentò
un caso isolato nel panorama nordafricano e, come l’Algeria, l’Egitto e la Tunisia,
osteggiò con fervore nazionalista simboli e interessi (neo)coloniali.

 Daniela Melfa