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L’ultimo anno di una pace incerta. Roma 1914-1915

Marco De Nicolò
Milano, Le Monnier, 211 pp., € 16,00

Anno di pubblicazione: 2016

Roma divenne effettivamente la capitale politica del paese solo nel primo decennio
del ’900, precisamente dopo il 1907, allorché la giunta Nathan e il prepotente emergere
del nazionalismo la proiettarono sul palcoscenico della politica italiana. Quando, nel 1870
erano entrati i piemontesi era poco più che un villaggio, poi la fortissima immigrazione
da tutta la penisola, il profondo cambiamento sociale, la nascita dei movimenti popolari
ne fecero il centro della nuova politica nazionale. La nazionalizzazione di Roma capitale
fu ciò che ne fece effettivamente la vera capitale politica. Nei tre primi decenni l’urbe era
stata solo una capitale formale, con l’acceso dibattito e gli scontri legati all’interventismo
divenne veramente il centro del dibattito politico.
La manifestazione evidente di questo mutamento si appalesò a tutti nell’inverno
del 1914-1915 e poi in modo ancora più forte nella primavera del 1915, quando Roma
divenne teatro delle manifestazioni del nazionalismo interventista. L’a. ha realizzato una
accurata e puntuale ricostruzione di questa corsa verso la tragedia, dove le piazze romane
ebbero un ruolo di primo piano. Infatti, contribuirono in modo determinante a superare
la prevalente opinione contraria alla guerra, nutrita dalla maggioranza degli italiani.
Il lavoro di De Nicolò parte dal 1907 che segna – secondo l’a. – il momento di passaggio
da un ruolo ancora solo autoreferenziale e nel complesso approssimativo, al divenire
di una vera capitale nazionalista. Fu in questi anni che Roma divenne teatro di grandi
manifestazioni, già nel 1911 al momento della mobilitazione per la guerra di Libia. Un
altro tornante decisivo era stato la Settimana rossa del giugno 1914 che aveva fatto emergere
la maturità del proletariato romano. Poi erano emerse le fratture che avevano diviso
prima i socialisti e poi i cattolici. Parole come «ordine» e «nazione» avevano preso il posto
di «classe» e «rivoluzione», mentre il «pacifismo» veniva superato dall’«interventismo».
In un certo senso l’ascesa del blocco liberale-popolare guidato da Nathan aveva segnato
per la prima volta l’integrazione tra le dinamiche locali e quelle nazionali. Poi i
grandi scioperi operai e le manifestazioni per la guerra di Libia erano stati le prove generali
dello scontro tra interventisti e neutralisti scoppiato nel 1914-1915.
In un clima sociale sempre più teso – che stava sempre di più assumendo i caratteri
di una quasi guerra civile – lo scontro si radicalizzò sempre di più nelle strade e nelle
piazze di Roma come in quelle di tutte le principali città italiane. In un crescendo sempre
più strillato la politica uscì dalle sue sedi istituzionali per essere travolta da una collettiva
e gioiosa euforia guerresca.
L’a. ricostruisce tutto questo con grande rigore e molti documenti, che le sue qualità
di ricercatore gli hanno consentito di trovare pur nell’attuale penuria di mezzi. E significativamente
dedica il libro ai tanti archivisti e bibliotecari che nonostante le enormi
difficoltà economiche, e il disinteresse dello Stato, cercano di conservare la memoria di
un paese che senza la sua storia sarebbe morto.

Cecilia Dau Novelli