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La preghiera e la Grande Guerra. Benedetto XV e la nazionalizzazione del culto in Italia

Maria Paiano
Pisa, Pacini, 311 pp., € 21,00

Anno di pubblicazione: 2017

Il volume intende ricostruire «la dialettica creatasi tra il pontefice romano e i cattolici
italiani sulle forme e i contenuti della preghiera riferita alla guerra» (p. 5) durante il primo
conflitto mondiale. L’a., studiosa esperta della materia, si richiama alla fiorente corrente di
studi su religione e Grande guerra sviluppatasi soprattutto in Francia, tendente a mettere
in luce l’anima religiosa della guerra. Se la storiografia, in generale, tende a mettere in
evidenza la convergenza tra religione e nazionalismo, l’a. ricostruisce in maniera convincente,
con ricchezza di particolari e una minuziosa ricerca archivistica, la complessità
dei rapporti tra religione e passioni nazionali, concentrandosi sulle dinamiche tra centro
e periferia nella Chiesa italiana, divisa tra la prospettiva universalista della Santa Sede e i
fremiti patriottici del cattolicesimo organizzato (pp. 66 e 124) che si insinuavano anche
nei rapporti ecclesiali, con il delinearsi, in alcuni ambienti, di un clero dalla fisionomia
spiccatamente nazionale che poteva mettere in discussione la fedeltà a Roma e in crisi
l’universalità della Chiesa.
Il dilemma che travagliava il mondo cattolico era se pregare per la pace, come chiedeva
Benedetto XV, o pregare per la vittoria. Per alcuni ambienti cattolici la guerra si
presentava anche come una grande occasione per la riconquista di un ruolo centrale nella
società: si pensi ai cappellani militari, al ruolo dei vescovi per la resistenza interna e per
la diffusione di una pedagogia a carattere religioso basata sul rispetto dell’autorità e delle
gerarchie. Ma anche la pace sarebbe stata raggiunta solo accettando il magistero papale in
una prospettiva intransigente, essendo la guerra letta come un castigo divino per l’allontanamento
delle nazioni da Dio. I cattolici pagarono tutto questo cedendo alla nazionalizzazione
del culto (ad es. la preghiera per il re d’Italia con la questione romana ancora
aperta) che spesso portava a sacralizzare la nazione anche al di là della tutela ecclesiastica.
Tutto questo diede vita, in opposizione alle indicazioni papali, ad una vera e propria teologia
di guerra, in cui la preghiera era presentata come un’arma (p. 115), i confini della
nazione erano stabiliti da Dio (p. 114) e la morte in battaglia era assimilata al martirio
(pp. 42 e 215).
Dall’analisi della pubblicistica presa in esame non risulta chiaro quanto questa giungesse
ai soldati e ai fedeli (p. 175): una risposta a questo interrogativo, centrale per capire
l’effettiva incidenza della propaganda cattolica sulla realtà sociale, sarebbe potuta venire
dalle carte dell’Acs, da cui traspaiono gli interventi della censura sulla distribuzione di
questo materiale. Secondo l’a. però l’adesione dei fedeli alle indicazioni pontificie non
era sostanziale, delineando un quadro complesso e articolato delle pressioni a cui fu sottoposta
l’«internazionale» cattolica, nelle sue diverse articolazioni, nel confronto con i
nazionalismi in guerra.

Gabriele Rigano