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Studi gramsciani nel mondo. Gramsci nel mondo arabo

Patrizia Manduchi, Alessandra Marchi, Giuseppe Vacca (a cura di)
Bologna, il Mulino, 344 pp., € 28,00

Anno di pubblicazione: 2018

Le diverse rotte che hanno portato l’opera di Gramsci nel mondo arabo s’intrecciano in un Mediterraneo che ha acquistato una centralità dirompente negli anni recenti tramite il connubio di migrazioni, la «primavera araba», la guerra globale in Siria e la continua vio- lenza coloniale in Palestina. In tale scenario, complesso e variegato, il volume offre una guida con la quale registrare il lavoro critico di intellettuali arabi per proporci una serie di lezioni che arrivano dai sud subalterni. Non si tratta di pallide ripetizioni di argomenti e concetti gramsciani già convalidati, ma di veri lavori critici proposti al di là dell’autorità linguistica e storica italiana. Qui, seguendo i percorsi di Gramsci nel mondo arabo, si apre la strada verso una sfida più profonda in rottura con l’idea – espressa da Abdesselam Cheddadi – «che la modernità sia un fenomeno unicamente o essenzialmente europeo» (p. 50).
Dopotutto questi saggi potrebbero essere collocati tranquillamente in quella stessa costellazione critica emergente che aveva assistito alla scoperta di Gramsci nel mondo an- glofono e francofono, o in India e America Latina, solo pochi anni prima del suo approdo nel mondo arabo.
I saggi ci portano continuamente dentro le problematiche specifiche dell’eterogeneo mondo arabo. Se, in maniera diretta, si può parlare dell’estensione di Alcuni temi della questione meridionale – il noto saggio incompiuto di Gramsci del 1926 – o di una cita- zione su una serie di mappe molto più variegate ed estese, dove i rapporti strutturali di poteri asimmetrici, il ruolo degli intellettuali, il concetto di società civile e l’insistere sulla centralità della sfera culturale in questi assetti restano costanti, il Ghāramshī arabo ci pone anche quesiti nuovi. Qui, per esempio, va spiegato come l’intellettuale «islamista» risulti più organico rispetto a quello laico e occidentalizzato, il quale, distaccato dalla cultura popolare, appare più «tradizionale».
Comunque, in un’Europa dove sovranisti e populismi fanno appello alla fede nel senso popolare di appartenenza (dove le cosiddette «radici» cristiane dell’Europa giocano la loro parte simbolica) non ci troviamo tanto distanti da questa problematica.
Quello che emerge in maniera netta dai contributi del volume, che vanno dagli anni ’90 ai tempi recenti, è il valore storico e politico del transito indotto dalla traduzio- ne, soprattutto culturale, di Gramsci. Questa trasformazione, effettuata per incontrare le esigenze specifiche delle complessità variegate della modernità araba, nella quale Edward Said ha ovviamente avuto un ruolo importante, risponde alla nota insistenza di Gramsci nel pensare alle questioni specifiche sempre in termini mondiali. In questa eredità che continua a viaggiare più «che analisi filologiche dei testi gramsciani, emergono dunque riflessioni intorno ad alcuni concetti chiave utili ad interpretare le realtà arabe» (p. 56).
Non solo, contro l’amnesia politica e critica locale, questi lavori che arrivano dalle sponde africane e asiatiche del Mediterraneo continuano a restituirci un Gramsci vivo e pertinen- te anche per noi.

Iain Chambers