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L’ultimo sogno dello scopritore di Troia. Heinrich Schliemann e l’Italia (1858-1890)

Massimo Cultraro
Ragusa, Edizioni di storia e studi sociali, 208 pp., € 16,00

Anno di pubblicazione: 2018

Chiunque approcci con serietà di metodo la figura di Heinrich Schliemann (1822- 1890) deve fare i conti con una pletora di studi tematici che recenti stime hanno calcolato in incremento di oltre 130 unità l’anno. Questa Schliemannia letteraria altro non è che il retaggio e il prodotto concreto dell’imperitura e (in)discussa fama dello scopritore di Troia, alimentata dall’immensa documentazione autografa riconducibile allo studioso tedesco, interessato a divulgare presso i contemporanei e a consegnare ai posteri una narrazione mitopoietica delle proprie vicende pubbliche e private: narrazione che pur sotto- posta nel tempo a sottili e complesse analisi critiche nel tentativo di recuperarne i tratti reali, continua imperterrita a corroborare, da quasi un secolo e mezzo, il mito del pioniere romantico e self-made man, ritiratosi in età matura dagli affari per poter concretizzare i sogni dell’infanzia e rivelare «nuovi mondi» all’archeologia.
Ponendosi nel solco dei citati tentativi di riesame complessivo del contenuto dei diari e della fitta corrispondenza di Schliemann, conservati presso la Gennadius Library di Atene, il libro ricostruisce capillarmente il trentennale, continuo e vivace rapporto tra il più noto cacciatore di miti dell’800 europeo e il Belpaese pre e postunitario: argomento di studio affascinante, ancorché abbondantemente negletto nei suoi aspetti sostanziali, e nello specifico diligentemente sviluppato dall’a. con l’intento di fare divulgazione colta della più avanzata ricerca storiografica praticata in prima persona. Se tutti, infatti, conoscono – anche per sommi capi – gli elementi salienti della biografia schliemanniana e la storia degli scavi e delle scoperte da lui effettuati in Anatolia e nel Peloponneso sulle orme di Omero e Pausania, praticamente ignoti, o tutt’al più singolarmente indagati, erano finora i dettagli dei numerosi e proficui soggiorni italiani dell’abile speculatore maclemburghese, da alcuni critici ritenuto un tipico prodotto delle politiche di benessere sociale ed economico della Germania bismarckiana.
Quindici furono nel complesso i transiti di natura professionale e le prolungate permanenze del nostro nelle italiche contrade, inizialmente approcciate e rievocate con lo sguardo disincantato e con la sottigliezza analitica del turista multi-destinazione, dai marcati interessi antropologici ed etnografici, e poi via via percorse e scrutate con intenti di non pedissequa formazione culturale, ritenuta essenziale premessa alla discesa nel campo dell’azione pratica. Un’azione pratica, quella dello scavo archeologico, sempre finalizzata alla constatazione della sussistenza di luoghi e fatti storici sulla base di nuove evidenze scientifiche, sia che fosse dispiegata presso alcuni vetusti centri peninsulari interessati dalla diaspora acheo-troiana nel Mediterraneo (Albano, Mozia, Segesta, Erice, Taormina, Siracusa, Arpino, Capri, Populonia), sia che coincidesse con le impetuose e maldestre esplorazioni estensive alla ricerca dei mondi scomparsi dell’epopea omerica.

Fabrizio Vistoli