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I prigionieri dei Savoia. La vera storia della congiura di Fenestrelle

Alessandro Barbero
Roma-Bari, Laterza, 369 pp., € 18,00

Anno di pubblicazione: 2012

In questo volume, l’a. attacca la pubblicistica anti-risorgimentale degli ultimi anni attraverso uno dei suoi «miti», la storia dei prigionieri di guerra borbonici catturati du¬rante la crisi finale del Regno delle Due Sicilie. Si tratta di una ricostruzione attenta e minuziosa, giustificata — come spiega lo stesso a. — dalla necessità di affrontare con rigore scientifico e onestà intellettuale un diffuso quanto banale uso pubblico della storia.
Barbero ricostruisce il percorso dei prigionieri, il loro numero, le condizioni della cattura e della detenzione, per definire i dati reali della questione, cominciando con la differenza tra coloro che furono presi nelle campagne dell’autunno-inverno 1860-1861, i renitenti alla leva e i disertori successivi. A fronte della documentazione riportata, i recenti quanto banali miti neoborbonici del «lager» di Fenestrelle, della congiura nel forte o del campo di San Maurizio si sciolgono immediatamente, e definitivamente, in modesti e inconsistenti argomenti di battaglia politica quotidiana. È proprio l’a. a ridimensionare queste recenti «miserie della storiografia» (p. 292) che coinvolgono storici dilettanti, gior¬nalisti e a volte accademici, ottenendo però il favore di una opinione pubblica affamata di capri espiatori.
Più interessante, dal punto di vista storico, è comprendere la questione della fine dell’esercito borbonico e del rapporto tra l’attaccamento dei militari alla propria patria e gli effetti devastanti della dissoluzione delle sue istituzioni. Non meno utile è lo sguardo ai vincitori, al loro incontro con i connazionali acquisiti, caratterizzato da un misto di entusiasmo, incomprensione e delusione rispetto a coloro con cui avrebbero condiviso la nuova patria. I pregiudizi delle alte sfere piemontesi e la volontà di integrare i vecchi nemici nelle nuove istituzioni si intrecciarono con una sostanziale accettazione del nuovo stato delle cose da parte della maggioranza dei prigionieri e i tentativi di resistenza di una minoranza di loro. L’a. sottolinea come la nuova classe dirigente non intese negare l’italianità degli ex militari, e i dati di fatto mostrano che in tempi rapidissimi riuscì a incorporare le leve meridionali nell’esercito. Anche gli inevitabili problemi connessi (di¬serzioni, provenienze diverse, resistenze politiche) furono gestiti con esito in buona parte positivo. Erano linee ancora confuse ma utili per comprendere i termini dello scontro politico, sulla stampa e in Parlamento, tra sostenitori della nuova patria e difensori dei vecchi Stati. I prigionieri, soprattutto i refrattari arruolati dopo l’Unità, diventarono un argomento di conflitto tra destra e sinistra, nonché tra nazionalisti unitari e legittimisti, anche perché la scoperta della camorra nell’esercito, come il fantasma del brigantaggio e della guerriglia filo borbonica, erano diventati un fatto concreto. I quadri e i gregari delle bande erano, infatti, formati spesso proprio da ex militari delle Due Sicilie. In ogni caso l’integrazione riuscì. Alla fine del decennio era nato il nuovo esercito italiano, anche se con le contraddizioni di una nazione ancora tutta da costruire.

Carmine Pinto