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Tea Party. La rivolta populista e la destra americana

Giovanni Borgognone, Martino Mazzonis
Venezia, Marsilio, 159 pp., € 12,00

Anno di pubblicazione:

Quando Barack Obama si è presentato a Osawatomie nel dicembre 2011 non aveva nessuna intenzione di celebrare la figura di John Brown, che dalla cittadina del Kansas aveva preso le mosse per la sua personale rivolta antischiavista. Il dialogo con la storia del primo presidente afroamericano, sempre intenso e serrato, aveva un altro riferimento: il discorso di Theodore Roosevelt tenuto proprio a Osawatomie nel 1910. Per Obama era importante, in vista della rielezione, arginare la rivolta dei Tea Parties, al plurale come sottolineano i due aa. di questo libro sottile, ma dal grande spessore storico e politico. Nella nazione che più interpreta le trasformazioni della comunicazione politica, il nuovo Tea Party, ispirato a quello di Boston del 16 dicembre 1773, è stato lanciato via etere da un giornalista finanziario dell’emittente televisiva Cnbc, Rick Santelli, il 19 febbraio 2009, con un chiaro accento antifiscale, apparendo come «un moto spontaneo in difesa del comune cittadino» (p. 44). Oggetto dell’avversione di Santelli era l’American Recovery and Reinvestment Act firmato da Obama due giorni prima, una legge che mirava a favorire la ripresa economica con un aumento della spesa federale.
Il richiamo al Tea Party della Boston rivoluzionaria era stato una costante del nuovo movimento populista americano sin dagli anni ’90, ma la presidenza Obama aveva inasprito gli accenti della protesta e i raduni dei militanti si erano intensificati sino a raggiungere l’apice con il Tax Day dell’aprile 2009, con manifestazioni in 750 diverse città e la minaccia di secessione pronunciata ad Austin dal governatore del Texas, Rick Perry. Come nel ’700 la protesta si era estesa in tutte le tredici colonie, allo stesso modo i Tea Parties contemporanei si sono diffusi in tutta la nazione diventando un movimento politico e poi una costola del Partito repubblicano in grado di influenzare la scelta dei candidati al Congresso. Spiegare questa trasformazione è il compito di questo volume che, se a prima vista sembra un instant book per interpretare un fenomeno tipicamente americano, in realtà, nel riflettere sul profondo legame tra populismo e destra politica, ci propone una sintesi storico-storiografica efficace di un tema sempre molto attuale tra le due sponde dell’Atlantico, proprio nel momento in cui anche in Europa i populisti sfidano l’idea di un’unione coesa per cavalcare l’intolleranza e la disperazione causate dalla profonda crisi economica. Ancora una volta il messaggio che ci arriva dagli Usa appare chiaro: il populismo rimane una sfida seria alle democrazie occidentali e va combattuto usando gli antidoti che la Storia ci ha fornito. Le rivolte populiste, scrivono gli aa., «sono generalmente indice dell’insicurezza di una nazione sulla propria identità» (p. 117) e rappresentano un moto di profonda sfiducia nei confronti dell’establishment politico. Studiarle e demistificarle può aiutare a riportare in auge la buona politica.

Marco Sioli