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1948. Gli italiani nell’anno della svolta

Mario Avagliano, Marco Palmieri
Bologna, il Mulino, 435 pp., € 25,00

Anno di pubblicazione: 2018

Il volume dei due giornalisti storici si avvale di documenti d’archivio e della storiografia.
Ripercorre minuziosamente l’anno fondativo della vita collettiva nella guerra
fredda. Ha come punto focale la lunghissima campagna elettorale del 1948, con gli
intrecci interni e internazionali che la animarono, con le strategie comunicative che la
contrassegnarono, col tono apocalittico di scelta preliminare tra il bene e il male da demandare
a elettrici ed elettori. Poi, naturalmente, le elezioni, con i risultati che avrebbero,
pur tra mutamenti e aspettative frustrate, contraddistinto il sistema politico fino al 1992.
Culmina nell’attentato al leader del Pci Palmiro Togliatti e nella stabilizzazione della «democrazia
bloccata».
Il lavoro particolareggiato degli aa. offre una ricca documentazione sugli stati d’animo
prevalenti. Nel tono descrittivo si evince la simpatia per lo schieramento che vinse le
elezioni e che confermò la collocazione internazionale del paese, frutto in certo senso della
propria vicenda storica. Come se tratti della guerra fredda interna oltrepassassero quella
internazionale.
La scelta accuratamente analitica degli aa. consente però di fare passi in avanti. Rivelatore
è un episodio minore: la contrapposizione Bartali/Coppi sul piano politico era
inesistente. Se era certa l’appartenenza del primo al milieu cattolico, Coppi, dato per
possibile candidato del Fronte, con Bartali e altri firmò un appello del Centro sportivo
italiano aderente ai Comitati civici. Al di là di chi avesse ragione o torto, anche questo episodio
ci ricorda la realtà di uno scontro ineguale: in 22 provincie il Fronte non raggiunse il
20 per cento, mentre la Dc fu sotto il 30 per cento solo in 6. Il merito dello studio risiede
pertanto nell’aiuto che ci offre per comprendere il terreno effettivo entro cui ebbe luogo
l’«anno della svolta».
Le elezioni per la Costituente certificarono il quadro composito del pluralismo italiano,
quelle del 1948 ne fotografarono l’effettiva realtà. Era debole e precaria in un paese
alle prime prove di una competizione paritaria tra tutte le sue culture politiche. Ne
derivava un pluralismo allo stato nascente. Dati i precedenti, non poté che esprimersi
in una contrapposizione così radicale, con ragioni profonde e in superficie verbalizzate
come contrasto tra reazione e progresso. Basti pensare che i governi a guida De Gasperi si
incamminarono, con tutte le limitazioni e coercizioni, che discendevano da questa natura
del pluralismo italiano, lungo un percorso riformatore così incisivo da tramortire parti
rilevanti del suo stesso elettorato. Ci vollero anni e decenni non solo per dare più solide
fondamenta alla consistenza plurale, ma anche per consolidarla con una reciproca legittimazione.
All’origine della «democrazia bloccata» che ne derivò era pertanto lo strettissimo
coniugarsi, fino a intrecciarsi in modo inestricabile, della questione nazionale con la
proiezione europea e globale: fu indispensabile il mutamento e l’evoluzione della seconda,
che pure garantì protezione e rassicurazione, per liberare la prima.

Paolo Soddu