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1967. Comunisti e socialisti di fronte alla guerra dei Sei giorni. La costruzione dell’immagine dello Stato d’Israele nella sinistra italiana

Valentino Baldacci
Firenze, Aska, 640 pp., € 21,25

Anno di pubblicazione: 2014

Il 5 giugno 1967 ‒ dopo che Nasser aveva chiesto il ritiro dei caschi blu disposti
lungo la frontiera del Sinai e bloccato il traffico navale nel golfo di Aqaba ‒ Israele, sentendo nuovamente minacciata la propria esistenza, dette inizio alle ostilità che in pochi
giorni consentirono l’occupazione di Gaza e del Sinai, della Cisgiordania e della parte
araba di Gerusalemme e degli altipiani del Golan. Impossibile allora immaginare quanto
durevoli sarebbero state le conseguenze del terzo conflitto tra ebrei e arabi. Lo sono state
dal punto di vista geopolitico, perché hanno provocato lo stallo di una situazione che
perdura drammaticamente ai nostri giorni. Ma lo sono state anche e soprattutto nelle
nostre coscienze.
A quasi un cinquantennio dalla guerra dei sei giorni è stupefacente registrare quanto sia rimasta radicata nell’immaginario collettivo l’immagine distorta che venne allora
creata dalla dirigenza comunista italiana, nell’ansia di allinearsi alle direttive sovietiche.
Ma ancora più sorprendente risulta che comunisti, postcomunisti ed eredi vari abbiano
concorso a mantenere viva la «leggenda nera» di Israele. Falsificando completamente la
verità dei fatti, Israele divenne così per la stampa comunista, e conseguentemente per
la maggior parte della sinistra italiana, uno Stato aggressore, espansionista, militarista,
violento, razzista, con tratti assimilabili a quelli del nazismo, che praticava l’apartheid nei
confronti degli arabi e che replicava in altri scenari l’Anschluss di hitleriana memoria.
Valentino Baldacci, nel suo ammirevole lavoro, ricostruisce analiticamente, setacciando per intero la stampa comunista e socialista del periodo (giornali e periodici), la
costruzione di questo stereotipo. Emergono, documentatissime, le responsabilità morali e politiche dell’intero gruppo dirigente comunista che ebbe in Trombadori, Pajetta,
Longo, Jacovello e Ledda le sue punte di diamante e che consapevolmente dribblò il
«censimento delle coscienze» invocato da Giovanni Spadolini, con la complicità di una
parte del mondo cattolico schierato, allora come oggi, su posizioni di pacifismo ideologico e quindi aprioristicamente antiisraeliane e filoarabe. Il confronto con il mondo
socialista (l’«antagonista», secondo la calzante definizione dell’a.), apparve subito impari.
Il tentativo operato dalla stampa socialista di fornire una fedele ricostruzione dei fatti per
comprenderne le ragioni e tentare di aprire la strada a soluzioni negoziate di pace impattò
con l’irrevocabile condanna di Israele e, ovviamente, della politica estera statunitense. Ne
derivò una costante ostilità, destinata a permanere fino ai nostri giorni nella opinione
pubblica orientata a sinistra.
L’opera di Baldacci, oltre alla completezza di analisi, è soprattutto una pressante
sollecitazione a una più attenta e pacata riflessione da parte di ciascuno di noi su uno dei
più importanti nodi della nostra storia contemporanea.

Maurizio Vernassa