Cerca

L’ombra del “kahal”. Immaginario antisemita nella Russia dell’Ottocento

Alessandro Cifariello
Roma, Viella, 284 pp., € 28,00

Anno di pubblicazione: 2013

Il kahal è la denominazione dell’istituzione di autogoverno della comunità ebraica
(kehilah) in Polonia nel XVI-XVIII secolo, poi nella Russia zarista tra il 1772 e il 1844.
Il lavoro di Cifariello, slavista di formazione linguistica e letteraria, ne analizza la sopravvivenza
e il mito dopo l’ukaz d’abolizione (19 dicembre 1844) e, soprattutto, dopo la
pubblicazione dei celebri volumi di Brafman (1868, 1869), quando il kahal assume il
significato di «potenza occulta», «società segreta», «direzione centrale ebraica», che governa
nell’ombra per realizzare un progetto di dominazione del mondo e disgregazione
dell’Impero russo (pp. 11-12). Il volume presenta due brevi capitoli introduttivi. Il primo
colloca storicamente l’insorgere, dopo secoli di tradizionale odio antigiudaico, di una
«questione ebraica» in Russia (dalle grandi spartizioni del territorio polacco-lituano alla
formazione di una zona di residenza ebraica) con alcuni cenni al ruolo del funzionariato
nell’elaborazione dei primi stilemi giudeofobi. Il secondo tratteggia la peculiare quadripartizione
semantica dell’etonima «ebreo» nella cultura russa (žid, evrej, iudej, izrail’tjanin)
e il processo di risemantizzazione che porta l’isoglossa žid ad assumere una connotazione
fortemente peggiorativa; per poi delineare l’evoluzione della figura-stereotipo
dell’ebreo che, dai modelli letterari allogeni ancora presenti in Puškin e Gogol’, inizia a
ricodificarsi, soprattutto a partire dall’opera di Bulgarin, offrendo sempre più sostanza
al pregiudizio autoctono. Richiamate alcune delle principali polemiche in ambito pubblicistico
a partire dal 1848, l’a. propone una pregevole analisi della «subcultura antiebraica
» (cap. 4), studiando la correlazione e coesistenza tra le visioni di una «giudeofobia
oggettiva» (l’ebreo sfruttatore), con l’elaborazione di un mito della colpevolezza e una
funzione maggiore assegnata alla «calunnia del sangue». Esamina quindi le immagini di
una «giudeofobia occulta» (il complotto ebraico), tra i cui mitemi risalta quello del kahal;
e le declinazioni russe di razzismo e antisemitismo, con il non secondario contributo
di Dostoevskij – un’analisi in cui spicca la forte tendenza al sincretismo (significativo il
ruolo di Ljutostanskij: pp. 83-86, 100-105, 112-115). Al centro di un complesso sistema
culturale, che si avvale di «manipolazione», «ricodificazione» e «risemantizzazione» (p.
111), troviamo la belletristica giudeofoba della seconda metà dell’800 (Markevič, Vagner,
Krestovskij, Jasinskij, Efron-Litvin) a cui è consacrata la parte più consistente della ricerca.
Essa rielabora – in un incessante scambio e intreccio – materiali già presenti, oltre che
nella pubblicistica conservatrice, nella letteratura antinichilista, arrivando a una sorta di
ricomposizione delle concezioni (p. 247). Senza sottovalutare la connessione d’idee con
la cultura europea, l’a. propone un quadro convincente del corpus russo di fonti, generi,
modelli, esempi, che andranno a strutturarsi nei Protocolli dei Savi di Sion. Il volume si
distingue per erudizione e lettura testuale, fornendo un fondamentale contributo allo
studio del sistema della calunnia e del discorso d’odio.

Antonella Salomoni