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La rivoluzione messicana

Massimo De Giuseppe
Bologna, il Mulino, 248 pp., € 15,00

Anno di pubblicazione: 2013

«La rivoluzione messicana – scrive Massimo De Giuseppe in questo volume esemplare
per chiarezza narrativa e completezza storiografica – fu la prima grande guerra civile
del Novecento» (p. 9). Una guerra che attrasse l’attenzione dei media, nella quale si distinsero
figure dalla fama ben presto transnazionale (a partire ovviamente dal «centauro del
nord», Pancho Villa) e che si intrecciò, venendone condizionata, con altri grandi eventi
internazionali dell’epoca, la prima guerra mondiale su tutti.
Ed è questo legame tra i processi e le trasformazioni globali e le tante, straordinarie
peculiarità messicane che riaffiora di continuo in questa storia della Rivoluzione
messicana. Sulle seconde l’a. offre pagine molto ricche e dense, guidando il lettore nella
immensa complessità di una geografia politica mutevole, di peculiarità regionali estreme e
di dinamiche politiche intricate, fatte di alleanze cangianti, leader spregiudicati e continui
ribaltamenti di fronte.
Il volume si articola in sei capitoli, che partono dal periodo porfiriano sino alla stagione
costituente e all’assassinio di Venustiano Carranza nel 1920. Il suo cuore sta però
nella guerra civile e nel confronto a tre che si venne a giocare tra Carranza medesimo,
Pancho Villa al nord ed Emiliano Zapata al sud. Leader diversi, per sensibilità politiche
e sociali e modalità d’azione, che si fronteggiarono in una sfida nella quale decisiva fu la
capacità del primer jefe Carranza di muoversi su un orizzonte nazionale così lontano da
quelli di Villa e, soprattutto, di Zapata, per il quale la fonte di legittimazione restava il
villaggio. Dietro all’ «impianto teoricamente così avanzato e minimamente realizzato» (p.
165) della riforma agraria proposta da Carranza nel gennaio del 1915 – scrive l’a. – «si
celava il cuore del progetto costituzionalista: il suo carattere nazionale» (p. 165). Unito
alla capacità costituzionalista di aprire un dialogo ampio con tutte le forze sociali e, anche,
ai timori statunitensi verso possibili ingerenze tedesche che portarono al riconoscimento
americano dell’ottobre 1915, questo orizzonte nazionale garantì a Carranza vantaggi non
colmabili rispetto a Villa e a Zapata e fu alla base del suo successo. Che culminò nella
costituzione del 1917, con cui si «apriva idealmente una nuova fase», nella quale la rivoluzione
fungeva da «fenomeno legittimante» e momento di «discontinuità e rifondazione»
(p. 197).
Forse qualcosa in più si sarebbe potuto dire del ruolo degli Usa: non tanto dell’azione
diplomatica dell’amministrazione Wilson o del fallimentare intervento militare guidato
da Pershing, quanto degli interessi economici americani, della questione petrolifera
e, anche, della fitta rete di relazioni transnazionali che coinvolgeva, in un modo o
nell’altro, quasi tutti i protagonisti della rivoluzione. Nondimeno, questo volume offre
un’introduzione precisa, molto ben scritta e straordinariamente dettagliata di una vicenda
complessa, fatta di molteplici dimensioni – internazionali, nazionali, locali – capace di
trasformarsi «da evento storico in fenomeno istituzionale e politico, perfino in un motore
di coesione interna» (p. 10).

Mario Del Pero