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Odessa. Splendore e tragedia di una città di sogno

Charles King
Torino, Einaudi, XVI-322 pp., € 30,00 (ed. or. New York, 2011, trad. di Cristina Spinoglio)

Anno di pubblicazione: 2013

Il profilo di una città difficile da definire è delineato dalla biografia di Odessa scritta
in modo elegante da Charles King, che alla regione del Mar Nero ha dedicato altri studi,
da The Black Sea. A History (2004, edizione italiana 2005) ad A History of the Caucasus
(2008). Il tratto ambivalente, o polivalente, di una zona di frontiera, quello cosmopolita
di un grande porto commerciale, quello infine plurale dei centri urbani dell’Europa centro-
orientale convergono nel delineare il profilo sfaccettato della città, fondata nel 1794
per volere di Caterina II come capitale della Nuova Russia. Odessa divenne rapidamente
snodo fondamentale di una rete di movimenti di merci (soprattutto cereali), di uomini,
di idee, che connetteva le pianure dell’Est europeo e dell’Impero russo alle rotte commerciali
del Mar Nero e del Mediterraneo. I nuovi equilibri geopolitici prodotti dalla guerra
di Crimea, il rilievo crescente dell’importazione di cereali dall’America settentrionale e
il taglio dell’istmo di Suez ridimensionarono il ruolo commerciale della città, che aveva
acquisito una sua identità peculiare, attorno all’«unità segmentata» (p. 98) di molteplici
appartenenze linguistiche, culturali, religiose, professionali, sociali, i cui punti di intersezione
erano a loro volta diversificati. L’intreccio di contrasti e dissonanze, la capacità di
tenere insieme l’inconciliabile emergono quale cifra della storia della città oscillante tra «il
genio e la devastazione» (p. XIV). Odessa è stato luogo che ha creato nessi tra mondi diversi
e allo stesso tempo ha generato conflitti. La vicenda della «ebraicità» di Odessa risulta
a questo proposito esemplificativa e costituisce un altro filo rosso della narrazione. La
città, che nei decenni centrali del XIX secolo costituì con il suo ebraismo imprenditoriale
e progressista, integrato nella vita sociale, la «risposta della Nuova Russia allo shtetl» (p.
96), fu sede nel 1871 del «primo pogrom a larga scala nella storia della Russia moderna»
(p. 148). L’a. ricostruisce la pagina, non tra le più note, della Shoah nella città occupata
dai romeni alleati dei nazisti. Odessa come San Pietroburgo è stata creata dal nulla per
volere di un monarca. E come per la capitale imperiale la sua storia è anche quella del
suo mito. Il rapporto biunivoco tra città e immagine, tra storia e mito, tra divenire della
storia e letteratura, attraversa le pagine del libro dai primi decenni dell’800 fino alla realtà
attuale di una città interpretata con la chiave crepuscolare della nostalgia. Un’analisi più
attenta all’impatto delle dinamiche della storia sovietica sulla città avrebbe senz’altro giovato
allo spessore narrativo e interpretativo del volume e alla comprensione dell’Odessa
novecentesca e di quella del XXI secolo, che non si può esaurire nel pur suggestivo paradigma
malinconico della nostalgia. La città è restata, pur in maniera diversa dal passato,
«uno spazio dagli incerti confini» (p. 285). Una città, il cui spirito non si può cogliere,
scrive l’a., «senza esserne respinti e affascinati nello stesso tempo» (p. 187).

Adriano Roccucci