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Pane, amore e politica. Le comuniste in provincia di Latina dopo la Liberazione (1944-1956)

Anna Laura Sanfilippo
Roma, Ediesse, 214 pp., € 13,00

Anno di pubblicazione: 2013

Il volume ricostruisce le biografie politiche di alcune militanti tra il 1944 e il 1956
e utilizza questo punto di osservazione per una riflessione sulla presenza di una questione
femminile nel Pci, all’interno di un arco cronologico esteso dalla nascita del «partito
nuovo» all’VIII congresso. Il contesto storiografico con cui l’a. si confronta è plurale.
All’interno del testo si incrociano differenti approcci, tra i quali prevalgono la storia di
genere e la storia politica, tanto che si può parlare di una proposta di storia politica delle
donne. L’inquadramento storiografico non univoco del volume si riflette anche sulla
tipologia delle fonti. Il frequente ricorso a interviste e testimonianze delle protagoniste
completa un impianto documentario più tradizionale, incentrato sulle fonti di archivio.
La specificità del comunismo italiano è interrogata a partire da un punto di osservazione
– il vissuto delle militanti – che è un valido riferimento per approfondire le interpretazioni
generali sulla storia del Pci. Il tema trattato conduce Sanfilippo a interrogarsi sui
caratteri della modernità comunista proponendo un’interpretazione della cultura politica
del Pci e delle stesse donne comuniste tale da sottolineare la mancata percezione del ruolo
autonomo delle questioni di genere, riassorbite – nel territorio pontino e nell’arco cronologico
indagato – in altre istanze, soprattutto in quelle relative alla trasformazione dei
rapporti di proprietà. Le evidenze fornite a questo proposito sono interessanti e fondate
su un impianto documentario ricco e articolato. La descrizione del vissuto delle militanti,
inoltre, è approfondita e ben espressa. Il modo in cui il libro opera la connessione tra
storia locale e storia generale risulta, invece, più problematico. L’interpretazione generale
del secondo dopoguerra appare calibrata, fin dai passaggi iniziali del primo capitolo,
sull’ipotesi che la genesi democratica dell’Italia repubblicana sia debole. La Resistenza è
inquadrata nell’ottica di una guerra di popolo fallita, prima ancora che incompiuta, e ciò
influisce su una chiave di lettura che evidenzia il deficit di comunicazione tra società e
partiti. Questo deficit sembra riverberarsi, nel testo, nel modo in cui è descritto il modello
di azione sul territorio di un partito a costruzione verticale – ricorre più volte l’espressione
«chiesa» – come il Pci. Il peso della questione femminile nel Pci è valutato prendendo
come termine di paragone i caratteri della morale comunista. Per l’a., la mentalità della
componente maschile del Partito è caratterizzata da un tratto conservatore-paternalista; la
relazione tra Partito e militanti femminili assume un carattere verticale-pedagogico molto
marcato. Risulta meno approfondita la tematizzazione del rapporto tra emancipazione e
partecipazione femminile attiva a un partito di massa e a momenti del conflitto politico,
per quanto non centrati su questioni di genere. Un bilanciamento maggiore tra questi
argomenti avrebbe potuto fornire un punto di riferimento saldo per riflettere in modo più
articolato sui caratteri della modernità comunista.

Gregorio Sorgonà