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Freud e Mussolini. La psicoanalisi in Italia durante il regime fascista

Roberto Zapperi
Milano, FrancoAngeli, 140 pp., € 18,00

Anno di pubblicazione: 2013

Il 26 aprile 1933 Sigmund Freud firmò la seguente dedica nel libro Warum Krieg?
(Perché la guerra?) scritto con Albert Einstein e pubblicato proprio nel ’33: «A Benito
Mussolini coi rispettosi saluti di un vecchio che nel detentore del potere riconosce l’eroe
della civiltà». Perché Freud decise di scrivere una dedica così impegnativa? E in quali
circostanze? Queste le domande alle quali l’a. cerca di rispondere. Ma il proposito, partendo
da questo episodio, è molto più ambizioso: fare una storia della psicoanalisi italiana
durante il regime fascista.
Pratiche e teorie psicoanalitiche restano però ai margini di quella che è rappresentata
soprattutto come una questione politica e personale. A prevelare, rispetto alla complessità
del contesto, sono le opposizioni incontrate da Freud, e dalla «sua scienza», che spiegano
e giustificano tutto. In primo luogo da parte del fascismo e della Chiesa cattolica, unite
in tale missione attraverso l’idealismo, e poi del marxismo italiano schierato su posizioni
sovietiche. Sfuggono così la contraddittorietà, le fratture e le discontinuità che hanno
caratterizzato il percorso della psicoanalisi: non solo visione del mondo umano, capace di
sfidare l’esclusività della filosofia e della religione in questo ambito, ma anche tecnica in
grado di rispondere ad esigenze pratiche. Nel volume il movimento psicoanalitico italiano
resta ai margini ed è descritto come un qualcosa di scontato e residuale, portato avanti da
pochi nomi (Edoardo Weiss, Emilio Servadio, Nicola Perrotti) e afflitto dagli attacchi di
nemici esterni. Non sono considerate le debolezze o l’effettiva forza interna e diffusione
(anche negli interessi culturali e clinici non accademicamente riconosciuti) della cultura
psicoanalitica italiana.
Molta importanza è data alle manifestazioni di dissenso plateali, che però non furono
granché significative. Il caso della Chiesa di Roma è in questo senso esemplare. Al di là
di alcuni interventi grossolani, la cultura cattolica, come notato da Michele Ranchetti, ha
considerato molto seriamente le implicazioni della psicoanalisi e per questo ha messo in
campo strategie molto sottili. Freud e i freudiani non furono ripudiati totalmente, ma riconosciuti
e portati nel campo di propria competenza. In pratica, il magistero ecclesiastico
(e Agostino Gemelli fu uno dei protagonisti) trasformò i casi clinici in casi di coscienza: la
psicoanalisi poteva funzionare come terapia, ma non come concezione dell’uomo; ed era
comunque debitrice di un ordine morale superiore e agiva in funzione di esso.
Quando si affronta il difficile campo della storia della psicoanalisi, dove è tutt’altro
che scontato individuare categorie interpretative, è necessario volgere lo sguardo, di lungo
periodo, all’interno e all’esterno, così da non perdere la dirompenza teoretica e pratica di
Freud, dei seguaci fedeli oppure dei dissidenti o contrari. Se non altro vale la pena considerare
che la psicoanalisi non fu una epistemologia fra le altre da apprendere, da integrare
o da combattere nel mondo che si conosce, ma il tentativo, dichiarato, di conquistare e
rivoluzionare ogni campo del sapere.

Matteo Fiorani