Anno di pubblicazione: 2019
Sia detto con chiarezza sin dall’inizio di queste brevi note: ricostruire la storia attra- verso la fiction, cioè la narrazione anche fantasiosa dei fatti, può rappresentare un’utile strategia di avvicinamento a un pubblico di lettori più ampio dei cosiddetti specialisti. Di storia si può e si deve parlare, scrivere, discutere anche al di fuori della comunità scientifica con strumenti e in forme che non sono quelle in uso allo storico. A beneficiarne potrebbe essere la stessa storiografia che, con e nella licenza poetica, potrebbe rileggere aspetti trascurati nelle ricostruzioni scientifiche. A patto però che questo tipo di racconti diano un valore aggiunto.
È quello che si ripromette di fare Marco Albeltaro con il suo volume 29 luglio 1900 che, attraverso pagine agili e di gradevole lettura, propone ai lettori la fotografia di un evento: il regicidio di Umberto I a Monza nell’estate del 1900. Adottando un impianto narrativo quasi filmico, l’a. ripercorre la vicenda attraverso tre figure: re Umberto, l’attentatore Gaetano Bresci e il personaggio, non storico ma verosimile, del cocchiere del sovra- no. Avvalendosi di una letteratura storiografica a dire il vero non sconfinata e soprattutto della pionieristica biografia dedicata da Arrigo Petacco nel 1969 all’anarchico di Prato, l’a. si muove tra un prima e un dopo di quella giornata di luglio ricostruendo il carattere, la vita e i pensieri dei suoi personaggi.
Licenza poetica, si diceva, e di licenze l’a. se ne prende molte, cercando di dare voce ai tre protagonisti di questa storia, soprattutto ai loro sentimenti, talvolta veri e propri dialoghi interiori, che sono però spesso solo e inevitabilmente congetture dell’a. Certo il lettore, sin dall’introduzione, deve essere disposto a stare al gioco della finzione e accettare le sue inevitabili forzature. Ma se sul piano storiografico il risultato è discutibile (e pazienza, gli storici di professione se ne faranno una ragione), anche dal punto di vista dell’efficacia divulgativa qualche dubbio sorge. Il generoso ricorso al racconto delle emozioni soprattutto del regicida e del cocchiere, e non alla loro contestualizzazione storica (che è ben altra faccenda e che merita tutte le nostre attenzioni di studiosi), sembra appartenere a quel «diluvio emozionale» oramai imperante nei mezzi di comunicazione anche in tempi di ordinaria gestione della vita collettiva; raccontare e conoscere le esperienze più intime sembra essere ormai lo sport più praticato dalla società contemporanea. E anche in questo caso, pazienza, con l’a. abbiamo ormai stretto un patto. Ma se poi tutto questo sforzo narrativo si riduce, come in questo caso, a una forma di immedesimazione simpatetica (ben esplicitata dall’a.) con le ragioni dell’anarchico, che voleva colpire il sistema e non un uomo, o del cocchiere (che forse alla fine intuisce e condivide le ragioni politiche e morali del gesto di Bresci), allora sarebbe bastato rileggere storiograficamente (e perché no? anche fantasticare su) la straordinaria arringa difensiva – qui in parte riprodotta – di Francesco Saverio Merlino.