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8 settembre 1943. Gli Stati Uniti e i prigionieri italiani

Francesca Somenzari
Roma, Aracne, 236 pp., € 14,00

Anno di pubblicazione: 2013

importante dopo l’8 settembre per più di un motivo, il principale dei quali, secondo l’a., è da ricondurre al ruolo che i vertici militari italiani ebbero nella crisi dello Stato monarchico fascista, con l’assunzione delle responsabilità di governo da parte di un loro qualificato esponente. Più volte l’a. sottolinea la sensibilità di Badoglio verso la sorte dei soldati in mano alle potenze straniere ex nemiche. Il problema riguarda anche la legittimazione a governare dello stesso Badoglio e delle forze armate, come pezzo significativo dello Stato. Inoltre dalla restituzione dei prigionieri in mano alleata poteva dipendere gran parte del successo del governo e dello stesso Regno del Sud, non fosse altro che per la possibilità di ricostruire le forze armate e contribuire così allo sforzo bellico contro la Germania. Viene dunque ricostruita la vicenda di un Alto commissariato per i prigionieri di guerra istituito a tal fine, i cui sforzi sarebbero rimasti frustrati. Gli statunitensi, infatti, preferirono trattenere gli italiani già avviati oltreoceano per impiegarli in lavori utili alla produzione bellica. L’a. sottolinea la prassi inconsueta che venne seguita: fu scavalcato il governo Badoglio e il suo Alto commissariato e invece furono interpellati direttamente i prigionieri, i quali aderirono nella misura del 75 per cento rinunciando persino alle garanzie stabilite dalla Convenzione di Ginevra (che avrebbe impedito l’impiego a favore dello sforzo bellico). L’indagine di Somenzari continua con l’analisi delle condizioni di lavoro delle Italian Service Units che inquadravano i «collaborazionisti». Avrebbe giovato alla ricostruzione una maggiore autonomia rispetto alle categorie della storia diplomatica, anche sulla scorta di una ricca e ben qualificata letteratura. Un aspetto nuovo e fondamentale della svolta del 1943, seppure trattato, passa un po’ sottotono: ovvero il fatto che alla logica degli schieramenti su base nazionale se ne sovrapponeva una sovranazionale e ideologica. Simile novità si osserva forse meglio negli studi sulla prigionia in mano sovietica, dove è chiaro il ricorso a strumenti classici della propaganda politica a forte tasso ideologico. Gli americani affidarono ad altri argomenti la loro persuasione: abbondanza di cibo, trattamento quasi da civili e l’immancabile ricorso al tema dell’emigrazione con visite di parenti italo-americani ai campi. Per contro privazioni e minacce ai non collaboratori, peraltro non sempre fascisti irriducibili, ma soldati che messi davanti alla scelta, la interpretavano secondo un loro criterio di valutazione che richiama le casistiche individuate da Claudio Pavone. La guerra civile, appunto. Nonostante le apprezzabili novità l’a. non sempre riesce a comporre un convincente quadro interpretativo; piuttosto procede in modo diseguale, con parti interessanti e ben documentate a cui ne seguono altre non del tutto necessarie, con frequenti ripetizioni e affermazioni non dimostrate come quella che riguarda il contributo dato dalla mafia allo sbarco alleato in Sicilia.

Rosario Mangiameli