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Albertina Vittoria – Storia del PCI 1921-1991 – 2006

Albertina Vittoria
Roma, Carocci, 190 pp., euro 13,50

Anno di pubblicazione: 2006

Se si accetta che una sintesi storica vada giudicata in base alla sua capacità di conciliare il racconto dei fatti salienti con un impianto rigoroso, allora il libro appare ben riuscito e adeguato al compito divulgativo che si prefigge. Si tratta della prima complessiva e snella sintesi della storia del PCI dalla nascita allo scioglimento. Su un totale di nove capitoli, un terzo è dedicato alla vicenda del PCd’I, dal Congresso di Livorno alla caduta del fascismo. Il secondo terzo affronta il periodo togliattiano, dal «partito nuovo» al centro-sinistra; l’ultimo terzo tratta degli anni Sessanta, del PCI di Berlinguer, e del passaggio dal PCI al PDS, il cui avvio viene datato alla segreteria di Natta. La bibliografia ragionata è un utile strumento di lavoro e consultazione, ben costruita e aggiornata; apprezzabile soprattutto il ricco elenco dei documenti a stampa e della memorialistica. Qualche esclusione forse troppo drastica riguarda la letteratura degli anni Sessanta, Settanta e primi Ottanta, che aveva allargato i temi di ricerca oltre i confini dei vertici di partito. Prevale qui la scelta di identificare il Partito col suo gruppo dirigente e con la linea politica. Il taglio narrativo trova in ciò la sua spiegazione e porta a seguire il filo dei dibattiti congressuali. Il progetto culturale di Togliatti emerge come novità del modo di essere del Partito dopo il 1944. L’attenzione alla dimensione organizzativa, alla dinamica delle iscrizioni, alla composizione degli organi dirigenti, ai rapporti generazionali è rimarchevole. Accenni, che in altre sedi meriterebbero sviluppi, alla vicenda giovanile e alla «questione femminile» non mancano. Il capitolo su Berlinguer appare il più riuscito, perché meglio dispiegata è l’analisi del rapporto tra Partito e società, inquadrando la vicenda nella crisi degli anni Settanta nel terrorismo, nel contesto internazionale entro cui si formula la strategia del segretario: il compromesso storico, l’eurocomunismo, l’alternativa democratica, lo scontro con Craxi e la «questione morale». Sul piano didattico, avremmo apprezzato una discussione introduttiva sulle periodizzazioni interne, sulle scelte di metodo, sui dibattiti aperti e sulle linee di ricerca più innovative. La storia del Partito è presentata sotto il profilo politico-istituzionale. Sebbene puntuali siano i riferimenti internazionali, l’autrice segue un taglio classico alla storia di partito sulla scia di Spriano e non le suggestioni gramsciane di Franco De Felice sul rapporto nazionale-internazionale nella guerra fredda. L’ultimo capitolo ripercorre le divisioni del gruppo dirigente sin dalla segreteria di Natta palesatesi poi con la frattura tra le tre mozioni di Occhetto, Ingrao e Cossutta sul cambiamento del nome. Se tuttavia la transizione apertasi allora trovasse fine nel 1991 o piuttosto con lo scioglimento dei DS al recentissimo Congresso di Firenze nell’aprile del 2007 (anche lì la divisione era fra tre mozioni: Fassino, Mussi, Angius) è questione che occuperà gli storici futuri.

Carlo Spagnolo