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Aldo Giannuli – Bombe a inchiostro – 2008

Aldo Giannuli
Milano, Rizzoli, 380 pp., euro 12,50

Anno di pubblicazione: 2008

Questo libro ha il merito di ricostruire con precisione uno degli aspetti più interessanti degli anni ’70: la storia della cosiddetta contro-informazione. L’a. si muove con grande attenzione nel mettere in luce sia la pluralità dei soggetti che la animarono sia le scansioni cronologiche che ne contraddistinsero la vicenda. Si trattò di un fenomeno che per un verso portò l’Italia ad assomigliare alle altre grandi democrazie dell’Occidente, perché la contro-informazione, ancorché legata indissolubilmente alla sinistra extraparlamentare, sembrò prefigurare la diffusione di quel giornalismo d’inchiesta che fu ed è un aspetto importante del gioco dei poteri delle democrazie mature. Per altro verso rappresentò una cartina di tornasole di molte delle particolarità del caso italiano, dal momento che, in quanto espressione di un «lungo sessantotto», non si rivelò un fenomeno duraturo e venne meno quando si consumò la crisi di quella particolare stagione politica. Tuttavia ? come rileva l’a. ? ebbe importanti conseguenze postume, non ultima la nascita del nuovo «giallo» italiano politicamente connotato. Senza omettere la letteratura cosiddetta «dietrologica» che ebbe nell’inchiesta sulla «Strage di Stato» uno dei suoi capisaldi. Non va dimenticato però come la tradizione del libro-inchiesta e della «contro-indagine» abbia avuto in Italia anche altri ascendenti: dai «libri bianchi» del Pci alle inchieste dell’«Espresso».Nella ricerca si mette in luce sia la capacità d’indagine dei circuiti della contro-informazione, sia la funzione mitopoietica: la capacità di forgiare molti dei topoi degli anni ’70 che diventarono senso comune all’interno della «nuova sinistra» ma che furono progressivamente recepiti, in ragione della forza delle argomentazioni, dall’opinione pubblica italiana tout court. D’altronde la convinzione che un colpo di Stato fosse possibile e che forze oscure si muovessero nell’ombra non fu propria solo dei «gruppettari». L’idea che la borghesia italiana e la Nato, utilizzando i neofascisti come manovalanza, fossero pronte a una soluzione autoritaria pur di fermare l’avanzata del movimento operaio costituì e costituisce uno dei principali argomenti auto-assolutori dei terroristi di sinistra.Nel volume si evidenzia come, all’interno del circuito della contro-informazione, furono non poche le ambiguità verso la lotta armata e le compromissioni dirette (non a caso la pubblicazione semi-ufficiale delle Brigate rosse si intitolò proprio «Controinformazione»), e come questa fu una delle ragioni della sua crisi nella seconda metà degli anni’70. Le denuncie di «capetti» di fabbrica e di neofascisti sui periodici e i quotidiani della sinistra extraparlamentare, accompagnate da minacce, e poi la pratica delle «schedature» degli avversari politici, diventarono un aspetto non secondario della militarizzazione della politica in quegli anni. La controinformazione, insomma, popolarizzò l’idea che la violenza fosse una delle opzioni possibili della lotta politica in quanto risposta a una violenza più grande: quella del capitale sull’operaio, quella dei rapporti di classe, quella del potere che mostrava il suo vero volto con le «stragi di Stato», quella del fascismo redivivo.

Ermanno Taviani