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Alessandra Gissi – Otto marzo. La Giornata internazionale delle donne in Italia – 2010

Alessandra Gissi
Roma, Viella, 96 pp., € 10,00

Anno di pubblicazione: 2010

La ricorrenza dell’8 marzo si presta come poche altre a mettere a fuoco nodi cruciali del dibattito storiografico – dall’uso pubblico della storia all’«invenzione della tradizione», dalla memoria come strumento di legittimazione di nuovi soggetti politici all’importanza dei simboli come fattori di identità e coesione sociale. Eppure, l’8 marzo, una «vera e propria scorciatoia discorsiva» (p. 9) che evoca immaginari e passati fondativi, è stato poco studiato in Italia.L’agile e ben documentato libro di Gissi ripercorre le tappe attraverso le quali si sedimenta nel nostro paese la Giornata internazionale delle donne, a partire dalla ricostruzione dei «racconti delle origini», fonte di una narrazione che rimanda costantemente alla «presunta commemorazione di operaie morte in un incendio non meglio precisato» (p. 11) negli Stati Uniti, e che persiste nonostante evidenze contrarie.L’avvio di questo percorso appare già denso di grande interesse storiografico. La proposta che Clara Zetkin avanza nel 1910 – cioè di stabilire una data per una manifestazione che ogni anno ponga il tema della questione femminile, inclusa la rivendicazione del voto – viene in Italia recepita in maniera fredda da donne che si sentono «prima socialiste e poi femministe», quindi per una ragione politica, come nota l’a. e non per la presunta debolezza del movimento. Sono le donne comuniste, fin dal 1922, a individuare, invece, nella Giornata uno strumento di costruzione di spazi di autonomia dentro il Partito, prima ancora che in funzione polemica nei confronti del Psi. Dopo il fascismo e la guerra, è l’Udi a ritenere l’8 marzo un’occasione di mobilitazione di «tutte» le donne, indipendentemente dalle appartenenze politiche, «costruendo» simbolicamente e politicamente la ricorrenza, attraverso l’appropriazione dello spazio pubblico e la delineazione di un discorso politico. Ed è in questo contesto che il racconto mitico delle origini si rinnova, legato com’è alla necessità di individuare, nel contesto della guerra fredda, un elemento di legittimazione forte: un episodio verosimile (la morte delle operaie in una fabbrica statunitense) è preferibile rispetto a un rimando alle politiche dell’Internazionale comunista. Un passaggio fondamentale, poi, è quello degli anni ’70: contro il linguaggio emancipazionista si affermano parole come liberazione sessuale, separatismo, autocoscienza. I nuovi movimenti non si riconoscono più nella visione, un po’ edulcorata, di una ricorrenza che non sembra esprimere la radicalità del neofemminismo (la «insana puzza emancipatoria della mimosa», le parole usate a Padova nel 1976). Si apre qui la fase più ambivalente: spazi di risignificazione, espressione dell’attivismo del femminismo sindacale, di quello cattolico o dei gruppi impegnati sul tema della violenza sessuale, si intrecciano a un rilancio della ricorrenza da parte delle Nazioni Unite a partire dal 1975 (anno internazionale delle donne) e, tuttavia, anche a una fase di stanchezza, declino, scarto tra le generazioni. Un’ambivalenza che è ancora tutta da esplorare.

Raffaella Baritono