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Alessandra Tarquini – Il Gentile dei fascisti. Gentiliani e antigentiliani nel regime fascista – 2009

Alessandra Tarquini
Bologna, il Mulino, 381 pp., euro 29,00

Anno di pubblicazione: 2009

Questo libro viene da lontano, da una lunga carriera di studi e da una stagione storiografica che sembra remota. In questo sta il suo pregio maggiore. L’a. affronta un tema che è stato molto dibattuto nella ricerca storica sul fascismo, almeno in Italia, il rapporto tra intellettuali e regime. Lo fa attraverso le reazioni che la filosofia di Gentile produsse nella cultura italiana del ventennio.Gentile immaginò di riformare gli italiani sulla base di un profondo rinnovamento della loro cultura. Contro questo tentativo si scagliò una congerie di forze di cui l’a. discrimina con molta cura i protagonisti, le ideologie, la concezioni storiche e politiche.L’antigentilianesimo del ventennio è complesso. Vi confluirono le correnti estremistiche del fascismo degli anni ’20 e gli odi inveterati della competizione accademica. Bottai e i corporativisti, tra i quali molti ex allievi del filosofo, a cominciare da Ugo Spirito. I cattolici, che speravano di diventare egemonici dopo la Conciliazione e la nuova leva di intellettuali che si affacciò alla ribalta della scena pubblica degli anni ’30.Ognuna di queste componenti porta un contributo alla storia della cultura italiana del primo ’900. Nessuna di queste è in grado di spiegare veramente i termini del rapporto che il filosofo del neoidealismo italiano stabilì con il fascismo. Per l’a. la rottura tra Gentile e il fascismo si produce sul terreno della realizzazione del progetto totalitario. Lo Stato a cui aspiravano i fascisti era in conflitto con la costruzione teorica gentiliana. Il vero avversario di Gentile fu il Pnf. Per il filosofo lo Stato fascista era superiore al Partito, che restava parte e come tale apparteneva alla lunga storia delle fazioni italiane. Il Pnf per assolvere il compito della rivoluzione avrebbe dovuto mettersi al servizio dell’educazione degli italiani. I fascisti vedevano al contrario nel Partito la leva della rivoluzione, non avevano nessuna intenzione di annullarsi al servizio dello Stato etico ed erano portatori di una visione che considerava l’agire politico superiore a qualsiasi altra espressione dell’esistenza umana. Ai loro occhi nessuna filosofia avrebbe potuto avanzare la pretesa di legittimare la prassi. La politica e la lotta politica stavano sopra ad ogni cosa.Tutto questo l’a. ricostruisce con molta attenzione. A mio avviso, tuttavia, il valore del libro sta altrove. Nel contributo che la ricerca fornisce per ripensare una questione che ha avuto un grande rilievo in altre stagioni politiche e storiografiche del nostro paese e che invece si è come dissolta negli anni a noi più vicini, lo spazio dell’intellettuale. Nella recente storiografia culturalista del fascismo, l’intellettuale dilegua, o dentro il sistema dei riti e dei simboli della dittatura o la sua vicenda si risolve nell’analisi di strategie di mera promozione personale. Le posizioni degli intellettuali diventano una funzione subalterna del loro posizionamento nel sistema di premi e punizioni del regime.Al contrario, l’a. con questo studio ricco e accurato aiuta a ripensare una figura che è scomparsa dalla nostra sfera pubblica e dall’immaginazione degli storici.

Adolfo Scotto di Luzio