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Alessandro Aruffo – Breve storia degli anarchici italiani (1870-1970) – 2005

Alessandro Aruffo
Roma, Datanews, pp. 255, euro 12,50

Anno di pubblicazione: 2005

L’idea di scrivere una sintesi dell’intensa storia dell’anarchismo in Italia è senz’altro indovinata in quanto manca un testo agile e di tipo introduttivo. Esistono infatti spezzoni di buone storie dell’anarchismo, come quelle di Pier Carlo Masini, di Maurizio Antonioli, di Gino Cerrito e di Enzo Santarelli, ma si concentrano sul periodo ottocentesco o, al massimo, giungono all’avvento del fascismo. Caratteri diversi hanno il lavoro più antologico di Adriana Dadà e quello di Luigi Di Lembo, allievi di Cerrito. Il libro di Aruffo, che appare un autore molto prolifico ma dedito a temi molto diversi, non riempie questo vuoto storiografico e divulgativo. Esso presenta varie parti di dubbio valore oltre che veri e propri errori di fatto.
Il volume ripercorre le tappe del movimento antiautoritario in Italia, scandendo i passaggi dal bakuninismo alla rottura con i socialisti legalitari, dalle rivolte popolari all’anarcosindacalismo, dalle speranze del primo dopoguerra alla diaspora imposta dal fascismo, dalla dura lezione spagnola al ruolo dei libertari nella Resistenza. Vi è poi una schematica analisi dal 1945 agli anni Settanta, nella quale prevale una riduttiva lettura di parte che sposa le tesi di una sorta di neoanarchismo marxisteggiante sviluppato dopo il Sessantotto, ma che ha radici negli anni Cinquanta. Di questa tendenza si esaltano la dinamicità, l’aderenza alla realtà sociale e l’efficienza organizzativa mentre le altre tendenze sarebbero piuttosto ancorate a visioni superate della società, a miti individualistici, a inefficienza operativa.
Nella ricostruzione di un secolo di attività libertaria si intuiscono comunque alcuni problemi di fondo: il dualismo organizzativo fra movimento specifico e movimento di base, la questione delle alleanze con le altre forze sovversive, l’equilibrio tra spinte classiste e individualiste, la sopravvivenza nei periodi di repressione ed esilio, il confronto/scontro con il marxismo e le alterne influenze semiliberali. Resta però l’impressione che l’autore abbia esaminato il complesso mondo dell’anarchismo ? costantemente alle prese con una volontà rivoluzionaria da coniugare con una metodologia libertaria ? attraverso una griglia di lettura inadatta al caso. Non ha infatti molto senso sostenere che, nel 1921, sarebbe necessario ?porsi il problema della conquista dello Stato più che della sua distruzione? (p. 132). Come appare perlomeno incongrua l’osservazione che gli anarchici ?ignorano la lezione del marxismo? (p. 75).
L’incauto autore colleziona gli svarioni più gravi e imperdonabili quando, nell’appendice, si avventura a trattare l’anarchismo spagnolo. Qui opera almeno due confusioni: Alejandro Lerroux, avvocato demagogo di Barcellona che contese agli anarchici l’egemonia sugli immigrati nel primo decennio del ‘900, con un certo Pierre Lerroux, un politico francese morto già nel 1871 (p. 244) e ancora il generale Primo De Rivera, dittatore dal 1923 al 1930 con il di lui figlio José Antonio, fondatore della Falange nel 1933 (p. 248).
L’intento di fornire una rapida guida sull’anarchismo italiano, tema che sta suscitando nuovo interesse editoriale, non è stato ancora raggiunto.

Claudio Venza