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Alfieri politico. Le culture politiche italiane allo specchio tra Otto e Novecento

Stefano De Luca
Soveria Mannelli, Rubbettino, 224 pp., € 16,00

Anno di pubblicazione: 2017

Il pensiero e la figura di Alfieri si presta in modo eccellente ad illustrare la tesi dell’intreccio
tra letteratura e politica come tratto caratteristico della storia e della cultura italiana,
in particolare nell’800 e nel ’900; è questa la tesi che percorre tutto il lavoro di
indagine dell’a. sulle influenze specifiche e svariate esercitate dall’alfierismo in quasi due
secoli di vita italiana. Non solo nel senso ben noto che sui letterati ha gravato l’onere di
rivendicare l’italianità, in carenza o assenza di concreta iniziativa politica; ma nel senso
di una vera e propria efficacia sul piano politico di idee, proposte, progetti elaborati e
trasmessi nelle forme della letteratura.
Sono molti gli esempi che si potrebbero avanzare (primo fra tutti, direi, quello di
Beccaria e del suo Dei delitti e delle pene); ma certo Alfieri esprime al meglio questo assunto.
Il libro ha molti meriti: acutezza di analisi, ottimo equilibrio tra puntuale resoconto
delle diverse posizioni e discreto commento alle stesse, e ancora (qualità mai troppo
lodata) sinteticità della trattazione. Il concreto e documentato resoconto degli svariati
giudizi, che si dispiega puntualmente nella trattazione, contribuisce in modo significativo
a determinare le modalità di un’efficacia pratico-politica che attraversa le vicende italiane
otto-novecentesche, sotto il profilo moderato, liberale o, all’opposto, radical-libertario,
sempre riconducibile ai testi letterari, quelli alfieriani, che siano trattati, poesie o scritture
drammaturgiche; sicché bisogna convenire che quei testi sono evidentemente in grado di
sostenere letture tanto ampie e discordanti.
L’arco delle interpretazioni si estende dal versante storico politico (da Mazzini a
Gobetti), a quello critico letterario (da Foscolo, Leopardi, Carducci, De Sanctis a Croce,
Debenedetti e Carlo Levi), tutte connotate dalla convinzione di dovere in qualche modo
fare i conti con una proposta ideologica, certo discutibile ma tuttavia ancora capace di
sintonia con le vicissitudini nazionali, pur se connotata di spirito rivoluzionario, per alcuni,
e, all’opposto, di reazionarismo, per altri.
Che la sua «idea poetica» si definisca «negazione sublime della vita contemporanea»
(S. Centofanti, p. 81), oppure che si trovi nel concetto di volontà «il vero centro del pensiero
alfieriano» (P. Gobetti, p. 136) o ancora che si veda in lui colui che «sa comunicarci
la passione necessaria a scrollare il giogo» (G. Debenedetti, p. 157), è indubbio che, almeno
fino alla metà del secolo scorso, Alfieri abbia rappresentato (in positivo e in negativo)
lo specchio di posizioni ideologiche e politiche impegnate nella contemporaneità.
Proprio il valore di questa ricerca suggerisce l’opportunità di dedicare in futuro analoga
indagine a letterati che fecero dell’azione politica una componente essenziale della
loro presenza nella vita italiana e non ritennero di misurarsi con l’alfierismo. Il pensiero
va subito a D’Annunzio, ma certamente gli si potrebbero affiancare figure altrettanto
significative per una sorta di rispecchiamento al buio.

Lucia Strappini