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Alfredo Puerari e il Cremonese 1715. Un caso di educazione al patrimonio culturale

Matteo Morandi
Cremona, Edizioni del Museo del Violino, 159 pp., € 15,00

Anno di pubblicazione: 2017

Dedicato all’avventura culturale di un uomo per la sua città, il volume offre una biografia individuale e collettiva al contempo, un caso-studio capace di fornire chiavi di lettura per una storia più ampia che da Cremona si irraggia in Europa e Oltreoceano. Non foss’altro per il suo raccontarci di identità e patrimonio culturale, di facilitatori e mediatori, ma anche di dopoguerra, di memoria breve e lunga, di intrecci tra storia locale e storia nazionale.
L’architettura del libro si muove a più livelli: una storia che ricorda quella dei Monuments Men attivi alla fine della seconda guerra mondiale per recuperare i tesori sottratti a musei pubblici e collezioni private durante l’occupazione nazista; l’analisi, svolta con la sensibilità della storia della pedagogia e dell’educazione, della costruzione di un’identità territoriale, a completare un cammino iniziato a ridosso dell’Unità, quando Cremona dovette ripensarsi su scala nazionale. Quasi uno spin-off delle ricerche precedenti, il racconto coniuga la singola vicenda – culminata nell’acquisto del capostipite delle collezioni cremonesi di archi – con un affresco della sfida identitaria per Cremona nel secondo dopoguerra: non poter esibire la dimora del suo illustre figlio Stradivari, ma neanche manufatti della sua arte, divenne a un certo punto un problema alimentato, come spesso accade, dallo sguardo altrui, quello dei turisti e dei visitatori stranieri. Così Alfredo Puerari, dal 1936 alla guida dell’Ept e dal 1947 direttore dei Musei Civici, insofferente verso il turismo popolaresco, festaiolo e folcloristico (p. 36), investì su Cremona come città d’arte per recuperarle una dimensione spirituale ed estetica sentita come necessaria dopo la follia distruttiva della guerra (p. 45).
In un’operazione di pedagogia sociale (p. 15), oggi diremmo public engagement, il violino fu riconcepito come manufatto artistico e posto al centro di una strategia del «ritorno in patria» che fronteggiò il timore dei falsi e le speculazioni fiorenti nel mercato internazionale degli strumenti musicali antichi. Il 1961 fu l’anno chiave, ricco di tentativi sfumati sino all’incontro con i due strumenti che finalmente giunsero in città il 15 dicembre. Va ricordato che il Cremonese datato 1715, il «miglior monumento a Stradivari nella sua città natale» (p. 116), fu acquistato con i soli contributi statali derivanti dal turismo, senza oneri per il Comune: qualcosa di simile all’odierna filantropia partecipata, di cui rappresentò per certi versi una forma pionieristica. Da evidenziare, infine, come l’intera operazione, con il suo appello alla sobrietà e al senso civico, ebbe luogo in quegli anni ’60 di svolta epocale per la società italiana, che usciva definitivamente dalla minorità del dopoguerra, conosceva nuove mobilità e tensioni, ma anche irreversibili opportunità per grandi numeri di uomini e donne: quella massa per la quale Puerari aveva invocato il diritto/dovere a una fruizione consapevole del patrimonio artistico

Arianna Arisi Rota