Anno di pubblicazione: 2006
Nonviolenza, disobbedienza civile e obiezione di coscienza sono state a lungo considerate correnti di pensiero minoritarie e marginali, tanto da non meritare di essere oggetto di una ricostruzione di vasto respiro. Con lo studio di Amoreno Martellini, basato sulla ricchissima documentazione dell’Archivio di Edmondo Marcucci, la storiografia italiana si avvia a colmare questa lacuna. Benché il volume si soffermi in particolare sul secondo dopoguerra, un ampio Prologo sui primi decenni del secolo allarga il quadro della trattazione. L’autore ricostruisce la lunga lotta per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza fino all’approvazione della legge nel 1972, le battaglie per sottrarre al potere militare la competenza sui reati di opinione, per contrastarne le ingerenze nella società, le azioni di disobbedienza civile promosse da Danilo Dolci, le vicende del pacifismo e i contrasti tra le sue varie componenti. Il filo conduttore del volume, tuttavia, deve essere individuato non solo e non tanto nella ricostruzione di movimenti e idee, ma nel modo in cui la parola dei «profeti disarmati» fu accolta, diffusa e commentata. In questo percorso molti sono gli elementi di novità, in primo luogo l’influenza di Tolstoj nel periodo successivo alla morte dello scrittore che Martellini ricostruisce attraverso il carteggio tra Tatiana Tolstoj ed Edmondo Marcucci, l’attività e i convincimenti del «femminismo pratico», il profilo di alcuni obiettori e la figura di Giovanni Pioli. Ma i temi centrali della ricerca riguardano la progressiva separazione tra nonviolenza e pacifismo e l’incontro mancato tra movimenti pacifisti e partiti. Nonviolenza e obiezione di coscienza si rivelarono inconciliabili con la politica e rappresentarono un terreno di scontro all’interno del pacifismo, un pacifismo che non rappresentò un ostacolo per le istituzioni militari e che non incise sulle scelte politiche. Il tema delle spese militari e quello dell’educazione alla pace ricevettero un’attenzione molto vasta sulla stampa di partito, ma non uscirono dalla sfera della propaganda. E mentre i partigiani della pace non contemplavano nelle loro proposte la nonviolenza e l’antimilitarismo, l’obiezione di coscienza fu sempre considerata un agire estraneo alla tradizione comunista. La marcia della pace del 24 settembre 1961, la vasta mobilitazione dei partiti e la successiva formazione della Consulta della pace sono i momenti di svolta decisivi che, paradossalmente, condussero a quello che Martellini definisce «il suicidio di una leadership». Il clima della guerra fredda lacerò la Consulta e la politica fece il suo ingresso «con i piedi di piombo nel delicato mondo dello spiritualismo nonviolento, stravolgendone le logiche» (p. 143). Marcucci, Pioli e Capitini uscirono di scena, la disobbedienza civile venne abbandonata e con essa la centralità del nesso tra mezzi e fini. Tra le cause di questi esiti l’autore individua il peso dell’eredità della Resistenza armata e della politicizzazione delle bande e del mito della Resistenza come guerra giusta che ne seguì. Una consapevolezza che, grazie anche al volume di Martellini, ha iniziato a farsi strada nella storiografia italiana.