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Andrea Damiano – Rosso e grigio, con Introduzione di Raffaele Liucci – 2000

Andrea Damiano
il Mulino, Bologna

Anno di pubblicazione: 2000

Giornalista al “Corriere della Sera” tra il 1939 ed il 1943, poi vissuto in clandestinità sino alla fine della guerra, Damiano ci consegna in queste pagine un diario redatto tra il novembre 1942 e l’estate 1945. Già pubblicato nel 1947 dall’editore milanese Muggiani, introvabile, è ora opportunamente riproposto dal Mulino, che negli ultimi anni è venuto via via incrementando la sua attività editoriale nel campo della memorialistica e della diaristica. Non assiduamente impegnato nella militanza politica, e solo marginalmente attivo nella organizzazione antifascista clandestina, Damiano offre pagine straordinarie di riflessione sul “clima” e lo “spirito” di quei lunghi mesi, piuttosto che di ricordo e racconto di fatti ed eventi (che pure, ovviamente, non mancano: basti citare la visita il 29 aprile a Piazzale Loreto e la descrizione dei corpi dei gerarchi, dell’atteggiamento della folla, della fucilazione di Starace). Ma quasi sempre si tratta di un’osservazione eccentrica, disincantata, talora anche venata di snobismo e forse addirittura di elitismo, tipica di un certo tipo di intellettuale borghese italiano, mai protagonista e sempre osservatore esterno all’azione, un po’ cinico ma anche moralista, incapace di comprendere le classi popolari e dunque da esse staccato, ma a volte anche affascinato, quando non invece antropologicamente scettico.
C’è tutto questo in Rosso e grigio, ma anche molto di più. E questo “valore aggiunto” è rappresentato dalla capacità impietosa di Damiano – che pare non avere mai nutrito simpatie per il regime, pur senza esservisi mai opposto apertamente – di rendere conto di un mondo che crolla, di una ” che frana, di una società che disvela negli anni della guerra civile i suoi limiti interni, la sua incapacità a capire le trasformazioni in corso. Quello stesso mondo e quella stessa società cui certo Damiano appartiene, ma che il suo scetticismo ed il suo disincanto – “questa mia natura tra neghittosa e sconsolata” (2 marzo 1943, p. 52) – sembrano avere impedito che vi si riconoscesse ed identificasse sino in fondo. Quelli che potrebbero anche apparire limiti della caratura umana ed intellettuale si rivelano dunque in questo frangente eccezionali vaccini a qualsiasi eccesso di coinvolgimento, e quindi potenti filtri di ogni apriorismo e schematismo. Questo è ciò che rende queste pagine dense ed assai interessanti, sia come documento di un’epoca che come istantanea di un ceto intellettuale borghese, solo parzialmente – nel caso di Damiano, almeno – assimilabile alla “zona grigia”. Né può essere assunto a idealtipo del testimone della presunta “morte della patria”. Ché nel fascismo identifica una sorta di disvelamento delle caratteristiche della storia italiana: “con l’Italia che è crollata – scrive nell’ultima pagina del diario, datata 15 giugno 1945 – non è crollato solamente il fascismo: è finita soprattutto l’altra Italia che nel fascismo sfociò per naturale processo logico. È facile dire: “il fascismo fu un fenomeno morboso”. Certo che lo fu: ma allignò su un tronco marcio” (p. 162).

Luca Baldissara