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Anita. Storia e mito di Anita Garibaldi

Silvia Cavicchioli
Torino, Einaudi, 286 pp., € 28,00

Anno di pubblicazione: 2017

Allieva della scuola risorgimentista torinese, nei suoi studi sull’età del Risorgimento
l’a. ha sempre prestato attenzione alla storia culturale dei luoghi, delle famiglie, della memoria,
dei miti. Non le mancavano dunque competenza e sensibilità per affrontare una
questione complessa e sfuggente come la biografia della prima moglie di Garibaldi. Lo
sforzo ambizioso, ma riuscito, in cui si è misurata è quello di intrecciare l’ordito lasco e
rado della vita materiale di Ana Maria Ribeiro da Silva – nata a Laguna nel 1821 e morta
«in una fattoria tra la pineta di Ravenna e le paludi di Comacchio a soli ventotto anni» (p.
72) –, con la trama fittissima di una lunga esistenza virtuale, in cui i fili del ricordo privato
e pubblico si intrecciano con quelli della costruzione del mito.
Il libro si articola in quattro capitoli, con una scansione a un tempo cronologica e
tematica. Nel primo, che abbraccia l’arco della vita di Anita, sono passate al setaccio le
notizie biografiche, solo in parte poggiate su fonti fededegne e per lo più derivanti da
una memorialistica molto influenzata dalle varie fasi di ricostruzione del ricordo da parte
di Garibaldi. Il secondo capitolo è incentrato sul decennio preunitario, quando si avvia
l’elaborazione della biografia garibaldina, in cui la figura di Anita viene «incastonata nel
momento sacrificale», a rappresentare «il dolore e il sacrificio patito dal vedovo» (p. 107).
Segue un’analisi delle rappresentazioni letterarie e iconografiche proposte dopo il 1860
secondo modelli condizionati nei primi due decenni da ciò che Garibaldi, nella travagliata
redazione delle proprie memorie, andava enfatizzando o censurando della vita e del carattere
della prima moglie; poi, dopo la morte dell’eroe dei Mille, dalla lettura conciliatoria
del Risorgimento, funzionale a una narrazione condivisa della rivoluzione nazionale.
L’ultimo capitolo parte dalle rielaborazioni di fine ’800 sulla «trafila garibaldina» e dalla
promozione dell’eroe a «simbolo unitario e popolare della nazione» (p. 180), per addentrarsi
poi nel ’900, ricostruendo le vicende del monumento all’«eroina dell’amore» e la
traslazione della salma da Nizza al Gianicolo.
Se una prima traslazione da Mandriole al cimitero di Nizza, voluta da Garibaldi nel
1859, sia per la coincidenza con le vicende unitarie sia per la liturgia che preludeva ai
«riti funebri posticipati» (p. 108) di patrioti nel periodo postunitario, aveva consacrato
Anita tra gli eroi e martiri del Risorgimento, la nuova collocazione della salma voluta da
Mussolini alla base del monumento equestre che raffigura l’eroina con la pistola in pugno
e il figlioletto in braccio, rappresenta «l’apoteosi ufficiale di Anita […] col suggello della
consacrazione fascista della sua immagine materna» (p. 226).
Lo schema qui delineato non rende tuttavia la complessità e la ricchezza dei temi,
che circolano nel volume con qualche inevitabile ripetizione, che non disturba la lettura,
anche grazie a una prosa elegante ed efficace. Resta la curiosità sugli sviluppi successivi
del discorso su Anita nelle rappresentazioni cinematografiche e televisive e nel periodico
ritorno d’interesse da parte di scrittori e di politici

Alfio Signorelli