Anno di pubblicazione: 2008
Recentemente la storiografia ha messo in evidenza il ruolo della Grande guerra nel ridisegnare identità e ruoli di genere. L’a. parte dal dibattito storiografico su questo tema per poi presentare tre contributi di ricerca sul caso genovese. All’epoca la memoria pubblica ridusse in forme stereotipate la vasta mobilitazione femminile, attraverso le icone della vedova, della madre in lutto, della crocerossina, rimuovendo figure femminili più in contrasto con la tradizione. L’a., tuttavia, non condivide la tesi della guerra «emancipatrice» delle donne, sottolineando la frantumazione che il conflitto indusse sia nell’identità personale maschile che in quella femminile. La storiografia italiana stenta, per altro, a recepire il contributo recato alla nazionalizzazione delle masse dalla imponente rete di assistenza e propaganda e dalla sterminata pubblicistica promosse in quegli anni dalle donne. Accanto al ruolo di singole protagoniste come Sofia Bisi Albini, Paola Baronchelli Grosson, Elena Vercelloni, Teresa Labriola, si dispiegò l’impegno di grandi associazioni come il Cndi, la Pro Suffragio, l’Unione Femminile. Il nazionalismo di aristocratiche e alto-borghesi fu affiancato da quello di insegnanti ed impiegate (cui la guerra apriva nuovi spazi occupazionali). Tuttavia la massa delle italiane – le contadine, le operaie, le donne che la propaganda nazionalista non riuscì a conquistare – restano una zona d’ombra storiografica, scandagliata da poche ricerche, come quelle recenti di Giovanna Procacci. A esplorare il mondo popolare si rivolgono anche i contributi di ricerca dell’a., il primo dei quali riguarda il carteggio tra il fante contadino Tommaso e la giovane moglie Francesca: esempio della pratica epistolare di massa generata dal conflitto oltre che rivelatrice di nuovi spazi di autonomia femminile indotti dalla guerra anche nelle campagne, e di un linguaggio caratterizzato da intense espressioni di amore e desiderio, tutt’altro che usuali nella cultura contadina.Un altro contributo di ricerca riguarda l’ingresso di donne in occupazioni maschili. All’Ansaldo la comparsa delle operaie (il 17 per cento della forza lavoro nel 1917) provoca forti ostilità tra operai qualificati e sindacalizzati, non certo dovute a un (inesistente) rischio di concorrenza sul lavoro. È invece l’elemento culturale a dominare le proteste degli operai alla direzione, che definiscono le nuove assunte come frivole, inette, oziose, immorali; mentre la stampa operaia genovese sottolinea i danni del lavoro industriale per la salute e la moralità femminili.Le lettere delle internate in un manicomio genovese, oggetto del terzo saggio di ricerca, ne sottolineano il carattere di corpo separato, impermeabile alle vicende e alle emozioni della guerra. Pertanto questo capitolo, di per sé interessante, finisce per apparire poco collegato al resto del volume. Solo le riflessioni sul valore soggettivo delle lettere suggeriscono un’analogia: per le internate, così come per il fante Tommaso, la scrittura epistolare svolge una funzione «terapeutica», creando uno spazio di espressione individuale in contesti che mirano ad annientare la personalità.