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Aurelio Lepre – La storia della Repubblica di Mussolini. Salò: il tempo dell’odio e della violenza – 1999

Aurelio Lepre
Mondadori, Milano

Anno di pubblicazione: 1999

Il titolo di questo libro, che combina con notevole efficacia narrazione e interpretazione, nasce da una precisa convinzione dell’a.: che Mussolini non sia stato, nel breve tempo della Rsi, un semplice esecutore degli ordini degli occupanti tedeschi. Peraltro, la stessa nascita di un governo collaborazionista in Italia era stata, afferma l’a., decisa da Hitler prima della liberazione di Mussolini. Il cui ruolo, quindi, non avrebbe affatto salvato l’Italia da una soluzione “polacca”, ma sarebbe piuttosto la scaturigine della guerra civile, poiché il fascismo senza il Duce non avrebbe avuto la forza di riproporsi agli italiani del Nord. Questo è solo uno dei molti argomenti affrontati dall’a. facendo i conti criticamente con quel denso e articolato patrimonio interpretativo sulla Rsi, che va dal classico studio di Deakin ai contributi fondamentali di De Felice, alle tesi di Bocca, alla svolta storiografica costituita dalla guerra civile di Pavone.
Un’altra idea non convenzionale proposta nel volume riguarda l’élite politica della repubblica fascista: essa non sarebbe stata ispirata principalmente da una disperata propensione politico-religiosa al sacrificio, giacché nei più perdurava sin quasi alla fine l’illusione della possibile vittoria o almeno di una pace onorevole. Lo schierarsi coerente e spavaldo per la Rsi come eroica “preparazione alla morte” riguarda certamente personaggi come Pavolini, ma è atteggiamento “meno diffuso di quanto comunemente si crede” (e la stessa fuga del Duce da Milano viene letta come una sorta di replica dell’8 settembre di Vittorio Emanuele).
Riprendendo il tema defeliciano della zona grigia, composta da quanti (ed erano i più) avversavano fascisti e tedeschi ma temevano anche la guerra partigiana e non desideravano altro che con la vittoria degli alleati il conflitto finisse, Lepre insiste sulla necessità di spostare l’attenzione dalle classi dirigenti ai sentimenti e all’esperienza della popolazione. Nel far ciò, l’a. attribuisce alla cosiddetta zona grigia anche una connotazione politica antifascista, giacché “rifiutare la guerra” in Italia “significava respingere un elemento essenziale dell’ideologia dominante”, vale a dire il tentativo mussoliniano – che aveva le sue radici nei miti risorgimentali e nella Grande Guerra – di trasformare antropologicamente gli italiani, indicando loro il patriottico mito guerriero del sacrificio e del sangue.
Da questo punto di vista, Lepre insiste ripetutamente sul fatto che la morte della patria non è il frutto improvviso dell’8 settembre, ma il risultato di un processo iniziato già nell’autunno-inverno del 1940 con le prime sconfitte in Grecia. Richiamandosi allo studio di P. Cavallo (Italiani in guerra. Sentimenti e immagini dal 1940 al 1943), sottolinea la difficoltà di analizzare con piena consapevolezza il brutale biennio ’43-’45, se non si fa i conti con “la rimozione degli anni 1940-1943”, una vera e propria “memoria cancellata”, che ha consentito “di scaricarsi di ogni senso di colpa, addossandola tutta ai tedeschi”.

Vittorio Cappelli