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Barbara Curli – Il progetto nucleare italiano (1952-1964). Conversazioni con Felice Ippolito – 2001

Barbara Curli
Soveria Mannelli (Cz), Rubbettino, 2000, pp. 295, euro 15,49

Anno di pubblicazione: 2001

La storia dell’Italia repubblicana ha un pregio o un difetto, a seconda dei punti di vista: può essere letta tutta in termini di uno sforzo continuo da parte di una molteplicità di attori (il governo, le forze economiche e sociali) per cercare, anche in maniera confusa e contraddittoria, di correggere le carenze strutturali di un’economia debole, capace solo di trasformare materie prime importate, fino ad ottenere risultati che l’hanno portata al quarto posto al mondo per la produzione industriale; oppure può essere considerata come l’esempio migliore, tra i paesi industrializzati, di come il mondo politico abbia fatto di tutto per evitare che venissero risolti i tanti problemi strutturali che il paese ha avuto da sempre, specie da quando l’Italia si è lanciata sulla strada dell’industrializzazione, pur di non perdere il controllo delle leve del potere reale. La questione energetica è il terreno ideale per verificare quale delle due approssimazioni possa avvicinarsi meglio ad una interpretazione convincente. Entro tale tema un posto di rilievo è occupato dalla questione atomica. Se tra i quattro maggiori paesi dell’Unione Europea l’Italia è quello che ha spento da circa quindici anni i quattro impianti nucleari di cui disponeva, mentre oggi la Francia ne conta 58 operativi, la Germania 19 e la Gran Bretagna 35; se, insomma, in Europa si può arrivare ad affermare che esiste anche una questione atomica ?all’incontrario?, appare evidente che l’argomento merita una trattazione attenta. Terreno di scontro tra scienziati, area di confronto spesso aspra nell’opinione pubblica, l’energia atomica ha goduto, nel periodo tra gli anni ’50 e ’80, di una buona stampa un po’ ovunque in Europa. Le attese suscitate dai primi esperimenti per l’impiego civile dell’energia atomica erano condivise nel decennio successivo a Hiroshima e Nagasaki in tutti i paesi occidentali, Italia compresa. Qui uomini di governo, ma soprattutto tecnocrati e scienziati si affannarono attorno al problema perché vi intravedevano, forse, anche poteri taumaturgici: in grado di risolvere i problemi più atavici della Penisola. Barbara Curli dedica il suo lavoro alla ricostruzione del primo decisivo periodo della storia del nucleare in Italia, chiusosi nel 1964 sull’onda delle reazioni provocate dal cosiddetto ?caso Ippolito?, il segretario del Cnen accusato di illeciti amministrativi.
Strutturato in due parti ben distinte ed equilibrate (anche in termini di pagine), il libro contiene nella prima un’accurata analisi dell’avvio della politica nucleare italiana basata su un’ampia ricognizione di numerosi archivi italiani e stranieri. Nella seconda parte il lettore trova trascritta una lunga conversazione dell’autrice con Felice Ippolito, realizzata negli anni immediatamente precedenti la sua morte, nel corso della quale gli stessi temi vengono affrontati da chi fu parte in causa della vicenda: con la stessa passione e la medesima vis polemica di quasi quarant’anni fa. Il libro si sdoppia e diventa, per certi versi, una fonte, non certo ?neutrale?, ma sicuramente di enorme impatto e che aiuta a comprendere snodi intricati della storia politica, economica, amministrativa e persino scientifica del paese.

Luciano Segreto