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Bianca Montale – Mito e realtà di Genova nel Risorgimento – 1999

Bianca Montale
Franco Angeli, Milano

Anno di pubblicazione: 1999

L’agile volume si articola in tre parti: la prima contiene una sintetica ricostruzione della storia politica della città nel periodo preunitario; la seconda è un ritratto della Genova “legale” (l’amministrazione municipale) e della Genova “che conta” (i gruppi dirigenti, le forze politiche, la chiesa e il mondo cattolico, l’intellighentia e gli organi della pubblica opinione); la terza, la più lunga, è dedicata al “paese reale” dell’economia e delle istituzioni di controllo sociale (l’Albergo dei poveri, polizia, magistratura, carceri). L’a. intende ricondurre alla sua dimensione reale il mito che identifica Genova con Mazzini e il mazzinianesimo (Mameli e Bixio, in primis), sullo sfondo, anch’esso mitico, della tradizione di Balilla (e, perfino, di Colombo): un mito privo di fondamento, “perché nella maggioranza dei suoi abitanti il capoluogo ligure appare piuttosto sostanzialmente moderato e, almeno nelle sue forme e nelle sue tradizioni, cattolico” (p. 143). Ne emerge un quadro mosso e ricco di stimoli, il cui termine a quo è rappresentato dalla fine (“per morte naturale”, p. 12) della Repubblica e dall’annessione al Regno di Sardegna: una soluzione quanto mai sgradita ai genovesi, poco propensi a finire sotto un re assoluto e a essere assimilati a quei piemontesi che “non sanno vivere senza un padrone” (p. 142). La situazione di decadenza e di torpore che segue l’annessione (stagnazione economica, l’aggravarsi dell’indigenza e della microcriminalità, un panorama culturale asfittico e rivolto al passato, la nessuna vita politica e lo scadente funzionamento del governo municipale) si estende lungo tutti gli anni venti e trenta e periodicamente è aggravata da eventi eccezionali (la carestia del 1817 o il colera del 1835). I primi sintomi di cambiamento incominciano ad avvertirsi a partire dal 1845 (l’VIII Congresso degli scienziati, che si tiene a Genova nel ’46, suona a incoraggiamento, oltre che a riconoscimento), cosicché la città esercitò un ruolo importante negli avvenimenti del ’48. Decisivo si rivela il decennio cavouriano, quando, vuoi per la politica economica intrapresa dal governo di Torino, vuoi per l’emergere di figure imprenditoriali più aperte e moderne, la città progredisce in misura considerevole. Il 1860 segna la ricomposizione pressoché definitiva della frattura tra Genova e la sua capitale, con anche l’allinearsi delle forze politiche cittadine al disegno di Cavour. Le conclusioni (definite dall’a. “provvisorie”, p. 140) sono in realtà interlocutorie rispetto al confronto serrato con la migliore storiografia specifica (di cui, peraltro, l’a. stessa rappresenta una delle punte interpretative più note). L’a. ha il merito di adeguare le analisi e lo stile narrativo alle esigenze di un pubblico di lettori più vasto e variegato di quello tradizionale degli “addetti ai lavori”. Dispiacciono semmai i frequenti refusi tipografici: il lavoro di editing e di correzione delle bozze non esiste più?

Filippo Mazzonis