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Bombe d’acqua. Alluvioni d’Italia dall’unità al terzo millennio

Renzo Rosso
Venezia, Marsilio, 280 pp., € 23,00

Anno di pubblicazione: 2017

Parlare di scienza per raccontare la storia. Questo il senso di un libro nato dallo
spirito divulgativo e dalla penna arguta di un a. capace di tratteggiare la biografia politica
dell’Italia usando come trama della narrazione il «dissesto idrogeologico». Un’emergenza
«permanente», quella delle acque, senza dubbio dettata da ragioni orografiche, ma i cui
effetti sono stati non di rado amplificati dall’intervento dell’uomo, dalle opere di colonizzazione
del territorio, dalle infrastrutture destinate a imbrigliare fiumi e torrenti. E che
dire delle centinaia di grandi dighe (alcune costruite agli esordi dell’unificazione italiana)
la cui manutenzione e il cui ammodernamento sono stati, e sono ancora, alla mercé di
leggi e finanze che scontano anni d’incuria e di «smemoratezza».
Delle tragedie dovute al «maltempo» – che hanno scandito i centocinquant’anni
della storia nazionale – governi centrali e amministrazioni locali non paiono aver fatto
tesoro a sufficienza per dare al «principio di precauzione» e allo sviluppo di strategie di
gestione del rischio un senso diverso dal deviare e cementificare fiumi; con il probabile
esito, in caso di nubifragio, di amplificarne gli effetti devastanti. Del resto, dal Polesine a
Genova, passando per il Vajont e Firenze, la gestione dell’emergenza causata da esondazioni
si è sempre tradotta nell’insediamento di commissioni tecniche e d’inchiesta (ministeriali,
parlamentari, regionali) tanto meritorie negli intenti, quanto scarsamente incisive
nell’elaborazione di una cultura ambientalista. La risposta delle classi dirigenti è stata
infatti non di rado affidata al potere «antropico» del calcestruzzo usato per «tumulare»
sotto i centri abitati interi corsi d’acqua o per creare faraoniche opere idrauliche lasciate
al proprio destino da uno Stato ostaggio – anche nel campo dei disastri naturali – di burocrazie
«labirintiche» e competenze frammentarie. Ecco allora lo scandalo degli appalti,
il morbo della corruzione o più banalmente l’insipienza nella scelta degli esperti o nella
gestione dei centri di ricerca.
Un moderno sistema di protezione civile dovrebbe conciliare saperi tecnici e scelte
politiche facendo tesoro delle esperienze, ma la «memoria alluvionale», come emerge
dall’ampia casistica citata nel volume, resta labile nel nostro paese. A poco sono serviti in
epoca repubblicana i pellegrinaggi delle più alte cariche dello Stato sui luoghi dei disastri
per sensibilizzare le istituzioni circa la necessità di un approccio «dinamico» a questioni
chiave per la tutela del suolo (urbanizzazione, rimboschimento, arginature). Eppure questa
resta una delle più urgenti sfide di «civiltà» che ci pone il nuovo millennio poiché la
difesa del suolo è anche metafora di un nuovo modello di sviluppo. A meno che non si
voglia tornare ai tempi in cui il pontefice definiva un «castigo divino» l’esondazione del
Tevere, mentre i Savoia si limitavano a promuovere «la maschera caritatevole della corona
» (p. 50) prelevando qualche somma dal proprio patrimonio personale e presentandosi
sui luoghi colpiti dalle calamità per stringere la mano alle autorità locali e distribuire doni
ai poveri sopravvissuti.

Salvatore Botta