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Bruno Bongiovanni – Da Marx alla catastrofe dei comunismi. Traiettorie e antinomie del socialismo – 2000

Bruno Bongiovanni
Unicopli, Milano

Anno di pubblicazione: 2000

Bongiovanni è uno di quegli studiosi delle culture politiche che, pur dovendo confrontarsi con le logiche particolari della dimensione teorica, ha fatto realmente sua la vecchia (quanto attuale) indicazione di Delio Cantimori sulla necessità di trattare le idee stesse come fatti. Ciò significa che rigore filologico, attenta e precisa contestualizzazione, diventano parti integranti di un approccio metodologico programmaticamente antitetico ad un uso di termini e concetti viziato da anacronistici “presentismi”. Uso ormai corrente nella pubblicistica genericamente storica, e che va trovando numerosi adepti anche nella storiografia professionale.
Il volume è costruito come una raccolta di saggi (aggiornati ed ampiamente rivisti) pubblicati nel decennio 1989-1999, decennio cruciale per l’oggetto in discussione. Di solito le raccolte di saggi risultano essere legate in qualche modo da un “filo rosso”, qualche volta in verità assai sottile. Nel caso di questo volume, invece, i diversi saggi sono tenuti insieme non da un filo soltanto, ma da una compatta rete concettuale. Non solo, infatti, più di metà del libro è dedicato ad una sezione organica di “esercizi di semantica storica”, ma anche i saggi esterni a tale sezione sono profondamente permeati dallo stesso spirito e impianto metodologico. Le voci degli “esercizi di semantica” sono quelle al centro di una riflessione storico-politica assai calda: rivoluzione, egemonia, dittatura, intellettuali, populismo, repubblica, presidenzialismo, revisionismo, totalitarismo. Un percorso semantico interno ed esterno agli itinerari marxiani. Oggetti caldi trattati con strumenti analitici freddi.
Dobbiamo accettare in sede storiografica, ed a distanza ormai di uno, od addirittura due secoli, che la terminologia utilizzata in situazioni del tutto peculiari, in momenti specifici della diffusione e della recezione di una cultura, possa mantenere pressoché inalterato il suo valore denotativo? Intendiamo gli stessi insiemi concettuali quando usiamo termini come “marxismo”, “revisionismo”, “ortodossia”, “riformismo”, “rivoluzionarismo”, ecc.?
La risposta di Bongiovanni è molto netta e parte dal rifiuto della “modesta guerra civile tra storici veri o tra bricoleurs della storia”. Una guerra civile in cui “tutto […] è stato “comunismo”, “fascismo”, “totalitarismo”, […] parole il cui significato, sgusciando fuori dagli ambiti loro specifici, è impazzito per overdose e si è trasformato in una coperta adatta a coprire, e in realtà a nascondere, immani lembi della nostra storia e del nostro passato” (p. 10).
I saggi del libro sono certamente un’ottima medicina mentis contro la temperie culturale produttrice di linee genealogiche e coerenze di lungo periodo dei riferimenti teorici, coerenze che sono tali solo perché interne ad una dimensione esclusivamente ideologica. Resta da chiedersi se i buoni libri servano davvero a modificare un senso comune su cui gli studiosi di professione sembrano avere scarsa possibilità di incidenza.

Paolo Favillli