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Campi d’oro e strade di ferro. Il Sudafrica e l’immigrazione italiana tra Ottocento e Novecento

Valentina Iacoponi
Roma, XL edizioni, 192 pp., € 15,90

Anno di pubblicazione: 2013

La migrazione degli italiani in Africa ancora oggi trova poco spazio nella vasta saggistica che ha raccontato e studiato la migrazione italiana nel mondo. Si trattò di un fenomeno che anche durante il suo svolgersi ebbe in Italia ben poca eco, soprattutto quando coinvolse terre che non erano al centro di aspirazioni coloniali. Ciononostante l’Africa sub-sahariana fu scelta come destinazione da molti migranti che partirono da quasi tutte le regioni italiane ma soprattutto da Piemonte e Liguria.
Le più recenti linee di studio di storia dell’emigrazione italiana hanno messo in luce l’importanza di fare dialogare tale fenomeno sia con la storia italiana che con quella dei singoli paesi di approdo. Il saggio di Valentina Iacoponi si situa in questo ambito storiografico, intersecando l’esperienza degli italiani con lo specifico contesto storico, politico ed economico del Sudafrica.
Dopo la legislazione per l’emancipazione della schiavitù, l’Impero britannico capì la necessità di modificare il sistema produttivo e di sfruttare la libera circolazione della forza lavoro. Di fatto la mobilità dei lavoratori fu tutt’altro che libera e le politiche migratorie furono di volta in volta pensate in sintonia e in funzione delle esigenze economiche e produttive, e sempre nel rispetto di un paese che doveva tutelare la popolazione bianca. Decidere chi avrebbe lavorato nei campi o nelle miniere, chi sarebbe stato impiegato nella costruzione della rete ferroviaria o per la lavorazione della seta, chi nei lavori pubblici o in mansioni di più basso profilo richiese un attento studio delle popolazioni ritenute più adatte, che si basò su stereotipi e opportunità politiche.
Il saggio mette bene in luce il mutare delle politiche migratorie sudafricane e mostra come queste, soprattutto dopo la fondazione dell’Unione Sudafricana, assunsero un carattere nazionalista, assente dalle precedenti normative, andando a costituire uno dei nuclei su cui si fonderanno le politiche di segregazione varate a partire dal 1948.
L’a., attraverso un accurato studio della pubblicistica italiana dell’epoca e dei bollettini del Mae, indaga anche la posizione spesso contraddittoria che l’Italia espresse circa l’opportunità o meno di emigrare in Sudafrica. Di estremo interesse è la parte dedicata alla presenza italiana prima a Kimberley e poi in Transvaal, e alla guerra anglo-boera. Qui l’a., grazie a un attento studio del materiale di archivio, ricostruisce con uno sguardo vicino alle vicende umane, l’intersecarsi della storia globale e regionale con quella personale dei migranti.
Nel saggio la popolazione nera resta sullo sfondo. Poco emerge della qualità delle relazioni tra italiani e popolazioni locali e più in generale del ruolo e della posizione che queste ultime ebbero nella vita sociale dei migranti, o di come influenzarono le politiche migratorie. Una maggiore attenzione all’apparato iconografico (carte geografiche) così come una bibliografia finale (disseminata invece nelle note) sarebbero state di aiuto alla lettura.

Alessandra Brivio