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Carolina Castellano – Il segreto e la censura. Storia di due concetti nel Risorgimento italiano – 2010

Carolina Castellano
Trento, Tangram, 73 pp., Euro 11,50

Anno di pubblicazione: 2010

Rielaborazione di due saggi apparsi nell’Atlante culturale del Risorgimento, a cura di Alberto Mario Banti, Antonio Chiavistelli, Luca Mannori e Marco Meriggi (Roma-Bari, Laterza, 2011), questo volume può definirsi un contributo originale in ragione della messa a fuoco dei nessi che intercorrono tra questi due lemmi nel discorso politico risorgimentale. «Segreto» infatti rimanda prima di tutto agli arcana imperii, alla legittimazione per grazia divina del potere che la nuova società politica vorrebbe abbattere, ma segreto (e spesso anche esoterico) è anche, per un lungo tratto di strada, l’attivismo politico che si incarna nel Risorgimento. «Censura», invece, rimanda per un verso agli apparati di polizia propri dell’Italia all’indomani del Congresso di Vienna, nella duplice veste di rete capillare di controllo e di strumento censorio in senso proprio, ma dall’altro allude anche a quella «opinione regina del mondo» che dovrebbe rappresentare il fondamento del potere a venire.Un primo cortocircuito che Castellano coglie nell’iter formativo della nuova società politica è quello tra segreto e censura nella prassi politica del Risorgimento. Si potrebbe infatti ritenere che il ricorso alla cospirazione clandestina, considerata la funzione censoria che il liberalismo pretende di esercitare nei confronti del potere e poiché il segreto è tanta parte dello Stato assoluto, venga vissuto con disagio, piuttosto che rappresentare una risorsa. Da qui le critiche al settarismo che connoteranno soprattutto, su opposte sponde, i mazziniani e i moderati. Da qui, anche, l’atteggiamento ambiguo dei poteri restaurati verso il settarismo, che da un lato lo puniscono penalmente, ma dall’altro lo utilizzano con disinvoltura nelle zone più turbolente per contrastare la «cospirazione» liberale, facendosi proprio forti del «segreto». Tuttavia, riprendendo la lezione di Koselleck, l’a. nota come coltivare una relazione stretta con ciò che non può essere detto significa anche investire in un futuro utopico proiettato verso la rivelazione definitiva, attraverso un disciplinamento interiore rivolto al mutamento. Alla censura, messa in atto dagli Stati polizieschi, ecco contrapporsi l’auto-censura, intesa in questo caso come strumento di crescita della nuova comunità nazionale. Non a caso, come ricorda l’a. nella pagina conclusiva del suo volume, se la «rivoluzione italiana» avrà come obiettivo primario la liberalizzazione della stampa, lo Stato unitario manterrà la censura preventiva sopra la materia teatrale, proprio in considerazione dell’alto valore pedagogico che i padri della patria attribuivano a questa forma artistica.

Francesca Sofia