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Ciano

Eugenio Di Rienzo
Roma, Salerno, 696 pp., € 34,00

Anno di pubblicazione: 2018

La ponderosa biografia affronta sia la vita privata del genero del duce sia il suo ruolo di politico di primissimo piano dello Stato fascista degli anni ’30. La prima dimensione contribuisce a gettare uno sguardo sulla società italiana durante il fascismo attraverso la formazione giovanile di Ciano e in seguito la «costruzione della carriera» di un uomo ambizioso che divenne interprete importante della politica del regime. La seconda riguar- da in modo approfondito non soltanto le vicende della politica estera italiana attraverso l’azione ministeriale di Ciano, ma rappresenta uno studio generale sul significato stesso della geopolitica e del bellicismo fascista del ventennio. Un aspetto importante del lavoro consiste nella rilettura attenta dei diari di Ciano giudicati (come molta memorialistica fascista – Grandi in primis) scarsamente attendibili perché scritti in funzione autoriabili- tativa. Se quindi si ricordano le perplessità di Salvemini di fronte alle memorie di Ciano, si denuncia l’eccessiva disinvoltura con la quale parte della storiografia le ha largamente utilizzate.
Dalla lettura di Di Rienzo emerge un Ciano alla impossibile ricerca di autonomia decisionale, se non di protagonismo in un terreno – quello della politica estera della se- conda metà degli anni ’30 – saldamente nelle mani di Mussolini. Ecco che quindi la bio- grafia diventa uno studio dettagliato delle scelte e delle doppiezze della diplomazia fascista dall’Etiopia alla guerra mondiale, dove il calcolo, gli equilibrismi, la ricerca del «migliore offerente» relegano in secondo piano l’importanza dell’ideologia e delle scelte di campo.
Ma pur prescindendo da questo, è sulla più generale fisionomia del bellicismo fascista e della sua azione di revisione della politica internazionale che il libro mostra gli aspetti più controversi. La politica estera fascista viene letta in sostanziale continuità con quella dello Stato liberale e spinta alla revisione per gli egoismi anglo-francesi responsabili della «cruda, corposa, dolente realtà della “vittoria mutilata”, che pesò come un incubo sulla coscienza degli italiani e condizionò pesantemente la politica estera e l’evoluzione politica interna del nostro Paese» (p. 196). Da qui un Mussolini comunque cauto e rispettoso dell’ordine postbellico nonostante la crisi di Corfù, che fin dal 1923 dimostrava piuttosto il cambio di registro e la spregiudicatezza del duce in politica estera, e le dimissioni di Contarini nel 1926.
Alla pregevole ricerca di archivio – che arricchisce sensibilmente la conoscenza del Ciano uomo, gerarca e politico, rispetto alle biografie finora disponibili – non mi pare che si affianchi sempre l’utilizzo di quella letteratura che è riuscita a complicare il quadro e i giudizi sulle responsabilità fasciste per la distruzione dell’Europa. A titolo di esempio: le pagine di Pietromarchi e di Menachem a supporto dell’umanitarismo italiano che sottrae gli ebrei jugoslavi ai nazisti, obliano il fatto che questi vennero deportati nei campi in Ita- lia, rischiando ancora una volta di avvalorare la tesi del fascismo fuori dal «cono d’ombra» dell’Olocausto.

Simone Duranti