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Civil War and Agrarian Unrest: The Confederate South and Southern Italy

Enrico Dal Lago
New York, Cambridge University Press, 465 pp., $ 59.99

Anno di pubblicazione: 2018

Questo è un libro originale e coraggioso, ma problematico. L’idea di confrontare «two parallel and comparable phenomena of internal dissent, which, regardless of differences in terms of scale […], proved to be the ultimate defining tests for the survival of two newly formed nations» (p. 6), non è in realtà nuova. L’originalità non sta dunque nel legare le vicende del Mezzogiorno appena confluito nello Stato-nazione italiano con la guerra di secessione americana, quanto piuttosto nel parallelismo fra gli Stati Uniti e il Regno delle Due Sicilie: Stati legittimi sfidati da entità che tentano di affermarsi rompendo il quadro politico-istituzionale, ossia i confederati secessionisti e il Regno d’Italia. Questo ribaltamento di prospettive consente di superare le letture che hanno spesso genericamente opposto Nord moderni a Sud arretrati, mostrando questi due conflitti come guerre civili di grande impatto all’interno delle quali rintracciare ulteriori «guerre civili interne» (p. 4). Negli Stati confederati come nel sud Italia si sarebbero infatti combattuti conflitti intestini in cui a essere in gioco erano gli interessi delle classi proprietarie, sostenitrici di regimi che garantissero i loro asset: gli schiavi per i sudisti, la terra per l’élite meridionale. A uscire sconfitte sarebbero dunque state in entrambi i casi le masse contadine, vittime di violenze e di una repressione che rappresenterebbe la sostanza del nation building di nordisti e piemontesi.
Mentre la scomposizione di fronti altrove ancora presentati come internamente compatti è fra i pregi del libro, più discutibile è invece l’assunto in base al quale a sostenere il parallelismo fra gli avvenimenti italiani e americani sarebbe non di meno la natura di rivoluzione sociale dei conflitti, che peraltro sono ricostruiti su una base documentaria ampia ma sostanzialmente priva delle carte dell’Acs, dell’Ussme e dell’Archivio di Stato di Torino. Se la lettura «sociale» del brigantaggio e degli scontri intestini al Mezzogiorno come lotta di classe si riconnette a una lunga e autorevole tradizione storiografica, essa mal si concilia con le recenti acquisizioni sulla politicizzazione degli strati inferiori nell’800, sulla dimensione politica del brigantaggio, sulle geometrie variabili e sulla pluralità di attori che riempiono la scena meridionale postunitaria. Si tratta di studi che l’a. mostra di conoscere, piegandoli però alla sua tesi o confinandoli in nota, e preferendo dialogare con una letteratura abbondante ma non scevra di riferimenti a lavori metodologicamente discutibili.
Ne viene fuori una ricostruzione come detto originale nell’impostazione, godibile nello stile e coraggiosa nel suo scavare sotto le grandi guerre civili, ma per l’appunto giocata sul piano della lotta sociale fra possidenti e ceti inferiori, senza che questa s’intrecci con quanto oggi sappiamo, restando al di qua dell’Atlantico, del legittimismo borbonico, dell’atteggiamento delle élite locali verso la causa nazionale e in ultimo proprio della guerra per il Mezzogiorno.

Marco Rovinello