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Claudia Mantovani – Rigenerare la società. L’eugenetica in Italia dalle origini ottocentesche agli anni Trenta – 2004

Claudia Mantovani
Soveria Mannelli (Cz), Rubbettino, pp. 400, euro 25,00

Anno di pubblicazione: 2004

Come scrive l’autrice in un’utile puntualizzazione conclusiva, la storia dell’eugenetica italiana viene qui indagata senza appiattire il prima sul dopo. Vale a dire senza concentrare l’attenzione sulla legislazione razziale fascista, bensì applicando una griglia di lettura estremamente ampia e ricettiva, sia dal punto di vista tematico che da quello cronologico. Questa scelta si rivela fondamentale per cogliere la notevole ricchezza di un fenomeno che, pur minoritario rispetto ai contemporanei movimenti europei e americani, nondimeno occupa un posto importante nella storia della cultura e delle scienze dell’uomo in Italia tra Ottocento e Novecento. E permette all’autrice ? dottore di ricerca e ora borsista presso l’Università di Perugia ? di interpretare il dibattito eugenico come ramificazione locale di un fenomeno internazionale e non, come talvolta è stato fatto, quale mera prefigurazione di una deriva razzista dell’intellettualità scientifica durante il ventennio, culminata nelle norme antisemite.
Mantovani indaga i molti orizzonti disciplinari e ideologici ? dalla criminologia alla psichiatria, dalla genetica alla demografia, dal dibattito sulla sessualità e sul corpo femminile alla medicina sociale, dal nazionalismo al riformismo collettivista e produttivista ? che contribuirono a un discorso eugenetico caratterizzato da una forte trasversalità politica. Emergono così le specificità della via italiana all’eugenetica, poco legata alla genetica e alle sue applicazioni, critica verso il determinismo mendeliano dominante tra i ?nordici? e propensa invece al principio lamarckiano della trasmissibilità dei caratteri acquisiti, più ispirazione ideale che scienza vera e propria. Forse anche per le preoccupazioni del mondo cattolico, o per la persistenza delle convinzioni risorgimentali sulle potenzialità riformatrici delle istituzioni e per il fascino esercitato dalla teoria paretiana sulla circolazione delle élites, o forse per tutte queste cose insieme, la maggioranza degli eugenisti italiani espresse perplessità di fronte all’idea di un controllo sociale del processo riproduttivo che passasse attraverso la sterilizzazione dei ?degenerati? praticata negli Stati Uniti e in alcuni paesi europei, e diede vita a un filone ?progressista? di incerto statuto epistemologico, fatto di medicina sociale, di educazione sessuale e di una costante scelta pronatalista.
Ad alimentare il discorso eugenetico fu anche l’interesse corporativo dei medici, ma il grande catalizzatore di queste idee sarà la prima guerra mondiale, dalla quale si formò un clima culturale in cui la rigenerazione divenne una parola chiave dei linguaggi politici, nell’attesa di un uomo nuovo fisicamente e mentalmente perfetto, frutto di una gestione razionale delle risorse collettive. Sarà anche grazie a questa convinzione che, a prescindere dalle premesse teoriche di partenza, gli eugenisti italiani diedero nel complesso la loro adesione al fascismo, intuendo nella politica demografica del regime l’occasione per promuovere le sorti della propria disciplina.

Silvano Montaldo