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Compagni e liberi muratori. Socialismo e massoneria dalla nascita del Psi alla Grande guerra

Marco Novarino
Soveria Mannelli, Rubbettino, 377 pp., € 18,00

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Sulla questione massonica la cultura politica socialista ereditò gli anatemi che, fin dal ’700 la Chiesa cattolica aveva scagliato contro le logge. Certo questa incolpava i Fratelli di aver complottato per distruggere la religione, quella di aver portato all’egemonia della borghesia, ma gli schemi retorici dell’antimassoneria avevano più punti in comune che di contrasto, a cominciare dall’ossessione del complotto e dalla denuncia del segreto più o meno imposto ai liberi muratori.
In Francia, ad esempio, più i socialisti si radicalizzavano in senso rivoluzionario più aumentava la denuncia del pericolo massonico, spesso associato, almeno fino alla Grande guerra, all’antisemitismo, assai forte nel movimento operaio d’oltralpe. Poi, siccome il rapporto tra i comportamenti privati e le prese di posizione pubbliche non poteva ovvia- mente rispondere ai criteri di trasparenza, molti rivoluzionari erano iscritti alle logge, si pensi al primo gruppo dirigente del Partito comunista francese. Da qui anche la tenden- za a sopravvalutare il peso e l’effettiva influenza della massoneria all’interno del Partito socialista, dove i massoni erano assai più presenti che nei partiti di destra cattolici ma in numero infinitamente inferiore rispetto a radicali e repubblicani anche conservatori.
Antisemitismo a parte, le stesse vicende si riscontrano nella vita del Psi. Proprio per- ché il fantasma della massoneria ha sempre eccitato l’immaginazione, e poi la memoria storica, ben venga il lavoro di Noverino che, attraverso uno studio incrociato degli archivi delle logge italiane e di quel poco che v’è rimasto di archivi socialisti, traccia finalmente con equilibrio i confini della questione. Dalla nascita del Psi, in cui le logge avevano una spiccata simpatia per Crispi, che ovviamente rendeva difficile il dialogo con i socialisti, si va ai primi anni del secolo, quando le alleanze con i radicali a livello comunale facilitarono forme di osmosi tra logge e sezioni socialiste. Fu solo allora che nacque l’ostilità sociali- sta nei confronti della massoneria, proveniente soprattutto dalle correnti rivoluzionarie e sindacaliste. L’equazione era più o meno la seguente: influenza della massoneria uguale politica riformista del partito uguale sottomissione ai progetti della borghesia uguale per- dita della purezza e della carica rivoluzionaria. Critiche che però venivano anche da chi rivoluzionario non era, come Salvemini, per cui il rapporto con la massoneria, che certo egli non demonizzava, produceva un anticlericalismo socialista, «bandiera per coprire la peggiore merce elettorale» (p. 163). Da qui le prime mozioni per escludere i massoni dal Psi e decretare l’incompatibilità nell’appartenenza tra logge e partito. Battaglie favorite dell’esclusione di Bissolati (iscritto alle logge) e dei suoi, più sensibili ai richiami mas- sonici che non Turati. La scissione del Partito socialista riformista lasciò campo libero ai rivoluzionari, e fu il leader della sinistra Mussolini che, solo nel 1914, riuscì a far appro- vare l’esclusione dei massoni dal Psi, quando però ormai la questione aveva perso peso e importanza.

Marco Gervasoni