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Comuni e Province: Ottocento e Novecento. Storie di istituzioni

Piero Aimo
Pavia, Pavia University Press, 276 pp., € 22,00

Anno di pubblicazione: 2017

Il libro raccoglie una serie di saggi editi fra il 2009 e il 2016 in varie sedi e si propone come una sintesi, necessariamente scandita in maniera episodica, della evoluzione istituzionale dell’ente comune e dell’ente provincia con, sullo sfondo, il tema mai risolto della possibile alternativa autonomista nell’ordinamento del governo locale. In ordine cronologico, si parte dai sistemi di nomina dei consiglieri comunali di età napoleonica per poi concentrarsi sull’età liberale a cui sono dedicati un saggio sulla figura del sindaco di nomina regia, e ben quattro capitoli in cui si discute dell’ordinamento di province e comuni. Il baricentro dei lavori consiste nella difesa della rivendicazione autonomistica di Carlo Cattaneo, che, seppure mai tradotta in proposte dettagliate, ha costituito, alle origini della storia unitaria, il più autorevole e non isolato richiamo alla possibilità di rompere lo schema amministrativo accentrato di ascendenza napoleonica e fatto proprio dal Piemonte sabaudo. L’a. critica l’argomentazione avversa, secondo cui il sistema amministrativo accentrato non ha avuto reali alternative perché storicamente non vi furono altre proposte concrete. Al contrario un indirizzo politico maggiormente autonomista sarebbe stato capace di trovare un diverso ordinamento per comuni e province, di cui non mancavano esempi nel contesto europeo, a cominciare da quell’Austria, nemica, ma ben più accorta organizzatrice dei governi locali.
Problema politico quindi. È questa la tesi che emerge anche dal saggio introduttivo, dedicato al concetto di autonomia nelle riviste giuridiche del secondo dopoguerra, in cui si critica il formalismo e l’imperante positivismo della tradizione giuspubblicistica nostrana, incapace quindi di dare supporto alle proposte alternative. L’affermazione del centralismo ci consegna la storia di un sistema che nei primi decenni ha imposto la nomina regia dei sindaci, il carattere evanescente dell’ente provincia, la posizione cruciale del prefetto e delle prefetture per controllare e indirizzare la vita politica e amministrativa periferica, senza disconoscere il carattere modernizzatore che talvolta gli interventi dall’alto hanno avuto. In questo contesto emerge la pervasività degli apparati burocratici centrali nel predisporre le norme per regolare minutamente la vita degli enti locali provocando per reazione una prassi di negoziazione delle élite in periferia per adattarsi e superare quei limiti.
Non a caso concludono il libro due capitoli sui prefetti di Milano dall’Unità al 1890 e nei primi anni del secondo dopoguerra: la prefettura, luogo cardine della vita amministrativa locale, secondo una linea di continuità che neppure due guerre mondiali sembrano scalfire.
Come tutti i volumi nati da una raccolta di saggi, il libro soffre di un andamento non uniforme, a volte con qualche ripetizione, pecche compensate da approfondimenti tematici penetranti che ne fanno qualcosa di più di una sintesi.

Alessandro Polsi