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Crimea. L’ultima crociata

Orlando Figes
Torino, Einaudi, 531 pp., € 35,00 (ed. or. New York, 2010, traduzione di Luigi Giacone)

Anno di pubblicazione: 2015

Questo libro dello storico britannico Orlando Figes, uscito nel 2010, concerne la guerra di Crimea del 1853-1856 su cui esistono ottimi lavori anche nella nostra storio- grafia. Come tutti i libri di Figes, anche questo è ben scritto, e di piacevole lettura, nella miglior tradizione anglosassone.
Il sottotitolo L’ultima crociata vuole da subito indicare che qui si avanza una risposta nuova al tradizionale quesito, ben presente nella letteratura inglese, se la guerra di Crimea non fosse una guerra «inutile», di cui ora sfugge la ratio. Senz’altro questo giudizio che ridonda in tutte le recensioni dedicate al libro sulle testate britanniche non è condiviso da tutti i partecipanti a quella guerra: basti pensare al caso dell’Italia dove è chiara l’impor- tanza che ebbe per le sorti dell’unificazione italiana o anche, paradossalmente, della Rus- sia, in cui il mito della resistenza di Sebastopoli è ben presente nella coscienza nazionale. Figes sottolinea il carattere di «crociata» che questa guerra assunse agli occhi dell’Im-
pero russo, che ne enfatizzò l’aspetto religioso, nello spirito della «Terza Roma», della pro- tezione dei cristiani ortodossi e di rilancio dello slavismo, dando luogo così a una reazione per certi versi speculare presso gli antagonisti diretti e cioè l’Inghilterra e la Francia, che rilanciarono anch’essi il tema della protezione dei cristiani, ma dei «loro», ovviamente, con il paradosso di essere alleati dei turchi.
Non condivido l’accento che Figes pone su questo elemento religioso, che mi sembra soprattutto uno strumento di propaganda per motivare le masse alla guerra e trovare ap- poggio presso l’opinione pubblica, quando in realtà il conflitto si inscrive nella tradizione del contrasto russo-turco per il controllo anzitutto degli Stretti e di conseguenza nel con- trasto anglo-franco-russo per l’accesso al Mediterraneo.
Certamente, all’a. importa di più illustrare l’aspetto culturale di questa guerra, per le novità che ha comportato in vari campi – da quello tecnologico a quello delle comunica- zioni – che quello più strettamente diplomatico, strategico e militare. Sfugge per esempio a Figes il rilievo del confronto navale nel Baltico fra Inghilterra e Russia, la profondità della contrapposizione fra un impero navale e uno continentale, anche dal punto di vista economico. Interessante la rilettura del controverso episodio della carica dei cavalleggeri a Balaklava e stimabile l’attenzione riservata ai tatari di Crimea o ai circassi, popoli mu- sulmani dell’Impero russo che patirono questa guerra in maniera superiore a quella delle altre nazionalità.
Mi permetto infine di sottolineare che, come sempre, la partecipazione italiana viene marginalizzata nella narrazione. Ciò premesso, il giudizio di Figes sulle truppe piemontesi è lusinghiero – si comportarono «bene e con coraggio» – e non viene, come spesso accade, controbilanciato dalle notazioni sull’esiguo numero dei caduti in battaglia, come, fra gli altri, nel recente La Guerre de Crimée (Paris, Perrin, 2003) di Alain Gouttman (p. 389).

Giulia Lami