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Dal Risorgimento al Mondo nuovo. La massoneria italiana nella Prima guerra mondiale

Marco Cuzzi
Milano, Le Monnier, 398 pp., € 28,00

Anno di pubblicazione: 2017

Non è la prima volta che si affronta il tema, complesso e delicato, del ruolo della massoneria italiana nella Grande guerra; ma è la prima volta che lo si affronta in termini completi, basandosi – come ha fatto Marco Cuzzi – su un apparato documentario molto vasto e in buona parte inedito. La ricerca svolta dall’a. ricostruisce analiticamente, dalla guerra di Libia fino alla vittoria, il percorso, spesso tortuoso, dei massoni; in particolare, pone in evidenza un problema storiografico: se l’interventismo abbia contribuito a depotenziare l’identità e i valori massonici in primo luogo all’interno stesso delle varie obbedienze. Come, per semplificare, la massoneria da pacifista sia divenuta interventista, da internazionalista si sia posta in concorrenza – perdendo la partita – con i nazionalisti, da cosmopolita sia diventata patriottica.
Nella massoneria, durante tutto il corso dell’800, cosmopolitismo, pacifismo, positivismo convissero con lo spirito del Risorgimento. Ma con la guerra di Libia tutto cambiò. Complice un processo di assimilazione patriottica con lo Stato italiano, dovuto alla partecipazione attiva dei massoni al processo di unificazione, con il nuovo secolo e con la prova della Libia la massoneria si trovò a un bivio: mantenere fede ai principi fino a quel momento manifestati oppure sostenere la nazione anche oltre quei principi.
Con la guerra mondiale la questione si complicò e nella massoneria emersero ben tre criticità: in primo luogo, il contrasto fra internazionalismo e nazione che, sebbene vista in termini risorgimentali, non escluse, nella stessa massoneria, prospettive filo dalmate; in secondo luogo, la crisi della logica iniziatica non resse di fronte al trionfo della massa innescato dalla guerra; infine, culturalmente parlando, la visione positivistica, tipica della massoneria, fu travolta dalle culture irrazionaliste e neoidealiste che, spesso, vedevano nelle società segrete il nemico per eccellenza.
La tesi di Cuzzi sul rapporto fra massoneria e intervento è persuasivamente innovativa: rispetto a chi ha sostenuto che la massoneria non aveva fatto quasi nulla per l’intervento italiano, e qualcosa avevano fatto singolarmente i massoni, e rispetto a chi ha sostenuto un accentuato interventismo massonico, l’a. sostiene che la massoneria ha avuto una funzione di collante, almeno per un certo periodo, fra i partiti democratici e, soprattutto, di «ponte» fra le due anime dell’interventismo, quello democratico e quello nazionalista.
I contrasti interni che la massoneria registrò nel periodo del conflitto, compensati soltanto parzialmente da un importante avvicinamento con le istituzioni, si manifestarono più evidenti negli ultimi due anni di guerra. La mancata unificazione con Piazza del Gesù, la polemica con i massoni francesi sulla questione dei diritti italiani nell’Adriatico orientale, l’assassinio del gran maestro Achille Ballori e il coinvolgimento del massone Luigi Capello nella rotta di Caporetto rappresentarono le maggiori difficoltà del Grande Oriente che la nomina di Ernesto Nathan a gran maestro riuscì soltanto ad attenuare.

Giuseppe Parlato