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Dall’Encyclopédie a Wikipedia. Storia sociale della conoscenza, 2

Peter Burke
Bologna, il Mulino, 449 pp., € 28,00 (ed. or. Cambridge, 2012, trad. di Maria Luisa Bassi)

Anno di pubblicazione: 2013

Invertire il titolo e il sottotitolo di un libro per mettere Wikipedia in copertina fa forse
aumentare le vendite, ma è fuorviante: in realtà ben poco spazio viene qui dedicato all’Encyclopédie
e alla stessa Wikipedia, che segnano anzitutto i limiti cronologici (1750-2000)
del secondo volume di una Storia sociale della conoscenza, così come Gutenberg e Diderot
circoscrivono quelli del primo, tradotto nel 2002.
È una storia sociale intesa con Mannheim come sociologia storica della conoscenza.
Tutt’altro che trionfalistica (solo la tecnologia segna un costante progresso), l’opera tratta
sia della raccolta, dell’analisi, della diffusione e dell’uso delle conoscenze (al plurale), che
sono oggetto della prima parte, sia anche delle informazioni perdute, rifiutate o distrutte,
esaminate nella seconda. I suoi protagonisti sono i «gruppi portatori di conoscenza» e in
particolare le istituzioni: dalle università alle biblioteche, dalle enciclopedie ai musei, dalle
riviste alle agenzie di intelligence, dal clero agli Stati, dagli Imperi alle aziende finanziatrici
della ricerca. Oggetto precipuo del libro è la conoscenza accademica occidentale. Se pure
l’a. valorizza l’interazione fra conoscenze diverse, il resto del mondo compare per lo più in
quanto viene scoperto e conquistato dall’Occidente e il suo spazio è marginale. La tesi centrale
dell’opera è costituita dall’«importanza della coesistenza e dell’interazione di tendenze
operanti in direzioni opposte» (p. 8): secolarizzazione e controsecolarizzazione, nazionalizzazione
e internazionalizzazione, specializzazione e interdisciplinarietà, democratizzazione e
burocratizzazione.
«A single book – ha avvertito Burke nel 2007 – would not be able to do justice to this
vast subject, even if the author’s knowledge of knowledge was much greater than mine». Non
è questo il punto. Del tutto all’altezza delle attese, il suo lavoro è una miniera di spunti e
stimoli sulle innumerevoli questioni diverse in cui si articola un tema vasto e difficile da padroneggiare
come pochi altri. Qualche problema deriva invece dalla convivenza nel libro di
un taglio sistematico e di un argomentare analitico: Burke appesantisce infatti il testo con un
gran numero di liste ed elenchi di dati, tanto utili da consultare quanto ridondanti. L’opera
presenta inoltre molte ripetizioni perché alle prime due parti ne segue una terza, che ripercorre
l’intera materia da altri tre diversi punti di vista: geografico, sociologico e cronologico.
Qui l’a. scandisce il periodo trattato in blocchi di 40-50 anni, individuandone i dati
salienti nella riforma (1750-1800), nella rivoluzione (1800-50), nella specializzazione (1850-
1900), nella crisi (1900-1950) e nella tecnologizzazione della conoscenza (1940-1990). L’ultima
fase, dopo il 1990, è infine teatro del declino dell’Occidente, della globalizzazione e
della democratizzazione della conoscenza. Anche se Burke paragona tali blocchi ai cicli di
Kondrat’ev, la sua periodizzazione appare francamente molto schematica.
Ma forse i limiti dell’opera dipendono dall’inadeguatezza di un oggetto pure caro all’a.
come il libro, laddove a un così grande affresco sarebbe stata più confacente una struttura
ipertestuale.

Tommaso Detti