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Dall’Impero asburgico alla Grande Romania. Il nazionalismo romeno di Transilvania fra Ottocento e Novecento

Stefano Santoro
Milano, FrancoAngeli, 302 pp., € 35,00

Anno di pubblicazione: 2014

Nel 1918, alla fine della prima guerra mondiale, la regione multietnica della Transilvania, da secoli inclusa nel Regno d’Ungheria, entrò a far parte del nuovo ed esteso Stato romeno, la cosiddetta Grande Romania. Quel traguardo fu il frutto non solo del mutato quadro politico internazionale, ma anche dell’intenso lavoro svolto, dalla fine del XIX secolo, dal movimento nazionale romeno di Transilvania, che è il filo conduttore del volume di Stefano Santoro.
Organizzata in quattro capitoli, oltre a una premessa metodologica e un epilogo, la ricerca mette in luce la complessità e le ambiguità di un nazionalismo che, durante l’epoca comunista, fu dipinto in toni oleografici. Esso, infatti, fu giudicato democratico e liberatore delle masse contadine romene dall’oppressione asburgica e magiara e, dunque, perfettamente funzionale alla rappresentazione della storia nazionale come un lineare percorso di emancipazione e di conquista della libertà che, nel comunismo, aveva trovato piena e definitiva realizzazione. L’analisi della documentazione originale permette all’a. di sostenere, invece, che il movimento nazionale romeno di Transilvania subì, nel periodo successivo al 1918, un’evoluzione in senso autoritario, arrivando, in alcuni casi, a sfociare in una forma di nazionalismo totalitario (alla fine degli anni Trenta).
Il nazionalismo romeno, non dominante bensì di opposizione in Austria-Ungheria, divenne invece dominante nel nuovo Stato sorto dopo la guerra. Questa evoluzione fu un successo ma, allo stesso tempo, una sfida insidiosa per i vari protagonisti del movimento transilvano antebellico, come Vaida-Voevod, Maniu, Goga, figure chiave della vita politica della Grande Romania (tutti i tre personaggi ricordati, fra i numerosi analizzati da Santoro, furono capi del governo). Lo studio della corrispondenza privata, custodita negli archivi romeni, delle riviste politiche dell’epoca e della storiografia specialistica, ha permesso all’a. di mostrare la trasformazione di quel movimento. Prima del 1918, esso aveva rivendicato i diritti della nazione romena nell’Ungheria dualista, attestandosi su posizioni liberal-democratiche di derivazione ottocentesca. In seguito, come il libro punta a dimostrare, aveva assunto sempre più posizioni illiberali e antidemocratiche, xenofobe, razziste e antisemite, allo scopo di continuare quella lotta in difesa dell’elemento etnico romeno avviata negli anni passati.
L’a. riserva particolare attenzione a singole figure, come l’intellettuale Onisifor Ghibu, ma anche ai legami tra il movimento di estrema destra della Legione dell’Arcangelo Michele con vari esponenti del nazionalismo transilvano, come pure al percorso politico del leader nazional-contadino, Maniu, solo in parte riconducibile all’evoluzione etnicista descritta nel volume. Proprio l’aver messo in luce le ambiguità, le differenze e le pluralità di un movimento controverso, come fu quello nazionale romeno di Transilvania, costituisce uno dei risultati più positivi di questo lavoro.

Antonio D’Alessandri