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Dario Consiglio – Il PCI e la costruzione di una cultura di massa. Letteratura, cinema e musica in Italia (1956-1964) – 2006

Dario Consiglio
con un’intervista a G.C. Ferretti, Milano, Unicopli, 313 pp., euro 15,00

Anno di pubblicazione: 2006

Raramente gli studi sul rapporto tra PCI e cultura sfuggono al rischio di restare prigionieri delle categorie analitiche proprie dello stesso Partito comunista. Tipico di questo atteggiamento il considerare come intellettuali solo quelli tradizionali (scrittori, pittori, musicisti). Il libro di Consiglio ha il merito di andare oltre questo schema inserendosi nel solco delle ricerche avviate da S. Gundle e da altri autori negli ultimi anni. Analizza con rigore l’impatto della cultura di massa sul PCI nel quadro di quel tentativo di rinnovamento avviato dopo il drammatico biennio 1955-1956 e del dibattito che il miracolo economico suscitò nel suo gruppo dirigente. Utilizzando documentazione in parte inedita, l’autore mostra come la linea culturale del partito fu messa in crisi da questi processi che investivano non solo l’Italia ma tutto l’Occidente capitalistico. In discussione era un’impostazione del lavoro culturale fondata sulla distinzione tra cultura alta e cultura bassa, e un rapporto con i militanti e con la società basato sull’azione pedagogica. Quest’ultima, se aveva contribuito a educare alla democrazia le masse uscite dal fascismo, non reggeva più nell’epoca segnata, tra l’altro, dall’avvento della televisione. Viene messo bene in luce come la presa di coscienza che la cultura di massa non fosse solo un fenomeno deteriore fu tortuosa e incompiuta fino al 1964. Permase una certa confusione, emersero vari orientamenti: un rifiuto della cultura di massa, che univa significativamente quadri conservatori del partito e intellettuali timorosi di perdere la propria centralità; l’idea di un uso strumentale della stessa; un atteggiamento aperto verso la definizione di un quadro analitico nuovo, che però fu patrimonio di un ristretto gruppo di dirigenti e intellettuali più coraggiosi e curiosi. Un altro merito del libro è quello di verificare il dibattito politico svolto nel partito alla luce del modo di operare delle strutture culturali e organizzative del PCI. Sono molto interessanti, ad esempio, le parti relative al «Calendario del popolo» e a «Vie Nuove» o il capitolo dedicato al rapporto dei comunisti con la musica leggera. Poco spazio viene invece dedicato alla riflessione dell’ultima fase della vita di Togliatti, che su alcuni di questi nodi si interrogò, e ad alcuni passaggi come quello del luglio 1960. Questo lavoro rappresenta uno stimolo ad approfondire alcuni nodi relativi al rapporto del PCI con la società italiana. Si tratta di capire in che modo, malgrado i suoi ritardi e conservatorismi, esso intercettò, almeno in parte, la spinta di rinnovamento che questa espresse negli anni Sessanta. Occorre verificare più a fondo l’impatto della modernizzazione sul corpo del partito. Si tratta in sostanza di assumere, rispetto al mondo della cultura, il nodo del passaggio ? come affermò Rossanda in un articolo degli anni Sessanta citato nel libro ? «da un egemonia diretta a un’influenza profonda» (p. 134). Per fare questo occorre però allargare lo sguardo al modo in cui il PCI è stato parte della cultura di massa, ne ha mutuato i linguaggi, ne ha usato più o meno consapevolmente gli strumenti.

Ermanno Taviani